E’ emergenza baby gang. Per le strade, nelle stazioni, nei luoghi di ritrovo. Prendono di mira qualcuno, spesso un coetaneo, e lo attaccano in gruppo con ferocia, senza un perché almeno apparente (eh sì, come se riuscire a trovare un motivo plausibile possa stemperare l’orrore!).

Baby, talmente baby, che spesso non sono imputabili. Non per la legge. Un fenomeno non nuovo, ma che ora sempre più spesso ha come teatro Napoli, città o area metropolitana, di giorno o di sera, nei luoghi “bene” o in quelli più degradati.



E così le aggressioni violente e feroci da parte di gruppi sempre più organizzati di ragazzi occupano le cronache, stimolano dibattiti, suscitano manifestazioni spontanee affollate in gran parte da loro coetanei, interrogano soprattutto le coscienze. Qualcuno prova ad indagarne le ragioni. Facile chiamare in causa l’emulazione! La popolarità raggiunta da alcune serie televisive, la diffusione tra alcuni giovani di atteggiamenti, comportamenti, stili che imitano gli eroi negativi di queste fiction, alimentano polemiche tanto accese quanto difficili da stemperare. Perché la “vexata quaestio” di un’arte che possa diventare istigatrice di atti violenti ci ricorda che l'”effetto Gomorra”, come già in passato l'”effetto Werther”, è là, dietro l’angolo.



Ma davvero gli artisti e i prodotti del loro ingegno possono essere considerati la causa del male? O, piuttosto, essi non sono altro che rivelatori, se si vuole amplificatori, di un male che esiste, c’è già, e trova espressione nell’emulazione come affermazione di un’identità personale che non si riesce a formare altrimenti. E ciò per varie ragioni, che vanno indagate altrove, ricercate non nelle fiction, ma nei contesti di vita reale. Alcuni programmi o personaggi dei mass media fungono, sì, da spinta epifanica, ma perché permettono l’emergenza, in questi casi violenta e disastrosa, di problemi che covano nel magma profondo della società, di questa nostra società che invoca a gran voce la scuola quando scopre che questi ragazzi, questi giovani protagonisti del male, spesso non la frequentano. E allora l’evasione scolastica diventa il nemico da sconfiggere, spesso confondendo un sintomo con la causa del male.



Riuscire a individuare le cause profonde che sono alla base di certi comportamenti devianti diventa cruciale; significa chiamare in causa il degrado del territorio, le responsabilità dei tessuti familiari che si vanno sfaldando — generando vuoti affettivi difficilmente colmabili — o che presentano contesti di vita i cui orizzonti valoriali sono profondamente connotati da una cultura “mafiosa” rispetto alla quale i comportamenti di questi adolescenti sono perfettamente “coerenti” e non “devianti”. Difficile solo immaginare le implicazioni, le interconnessioni, le sovrapposizioni di elementi che si mostrano nel coagulo di violenza, nella ricerca del potere attraverso la sopraffazione, nell’affermazione personalistica, che sono dietro a tutti i casi di violenza minorile.

Il Libro del Siracide ci ricorda che “Radice di ogni mutamento è il cuore, da cui derivano quattro scelte, il bene e il male, vita e morte, ma su tutto domina sempre la lingua”. Bene e male, insomma, hanno un’unica origine e su di essi domina la lingua. La scuola è certamente l’agenzia più importante per la messa a punto della lingua, una lingua che non è solo uno strumento per comunicare; è un’organizzazione mentale, interiore, un paradigma attraverso il quale si vede il mondo in un certo modo, comprendendo al suo interno valori, scopi, funzioni, mete da raggiungere, e all’interno del quale si compiono atti valutativi, decisioni, scelte.

Non deve, tuttavia, essere trascurata la presenza attiva delle altre istituzioni o delle altre realtà sociali. Senza una rete forte di strutture di accoglienza, di sostegno, di formazione, che consenta di riunire tutti gli interventi in un unico orizzonte di senso, questi adolescenti non avranno la possibilità di modificare la propria rappresentazione del mondo. E questa rete è costituita anche dalle persone che hanno il coraggio di alzare la testa, di accendere un faro sugli episodi di sopraffazione, di chiedere aiuto, sostegno, solidarietà. Perché l’ “emergenza baby gang” può essere anche il segnale di una rinnovata coscienza civile, che non teme di denunciare, di far “emergere”, appunto, il sopruso, la prevaricazione, la violenza; è la voce delle madri delle giovani vittime che hanno deciso di mantenere accesi i riflettori, perché si cerchino le soluzioni e non ci si arrenda come di fronte a eventi ineluttabili. E forse è il segnale del risveglio civile di una città.