La gita scolastica è da sempre uno dei momenti più attesi dagli studenti italiani di qualsiasi età, l’occasione perfetta pe trascorrere qualche giorno insieme ai propri amici lontano dall’aula della propria scuola. Ma qualcosa negli ultimi tempi sembra essere cambiato e il motivo non è solo da attribuire alla crisi economica. Secondo un’indagine del sito web Skuola.net, infatti, circa un ragazzo su 10 non prende parte al viaggi di istruzione e, all’interno di questa percentuale, uno su tre lo fa per propria scelta. Il motivo è chiaro e sorprendente, non vuole stare insieme ai propri compagni di classe con i quali i rapporti sono problematici. È questa la prima causa del rifiuto alla gita, come precisato da Daniele Grassucci, responsabile dei contenuti del sito Skuola.net: “Un fatto nuovo, che sembra confermare alcuni studi, che associano al sempre maggiore tempo speso sui social una degradazione della capacità di relazionarsi nel mondo reale. Non è raro osservare che gli adolescenti di oggi (ma anche gli adulti), quando stanno insieme in uno stesso luogo fisico non interagiscono tra loro, ma utilizzano lo smartphone”.
La crisi della gita scolastica: ecco i principali motivi
Le difficoltà economiche, che in passato erano quasi esclusivamente l’unico motivo che costringeva i ragazzi a casa, si fermano oggi al 28% di coloro che non partono con la propria classe. Tra le altre motivazioni sono staccate la mancanza di fiducia dei propri genitori (pari al 6%) e i timore del terrorismo (3%). Ragazzi e ragazze evitano quindi di interagire con i propri compagni, come confermato da Mario Rusconi del consiglio nazionale dell’Associazione nazionale presidi. E in quest’ambito entra in scena il problema del bullismo che non sempre la scuola riesce ad arginare: “Aumenta l’aggressività adolescenziale e gli episodi di bullismo, perché aumenta il numero di coloro che trascorrono il pomeriggio a casa da soli, senza genitori, con uno smartphone in mano invece di un libro o un pallone in cortile (…) Le scuole purtroppo non sempre sono in grado di affrontare il problema, perché preferiscono utilizzare i fondi che hanno a disposizione per formazione o per la digitalizzazione, invece che per aprire un servizio psicologico interno”.