Il contratto della scuola è l’ultima grande questione che questo Governo deve affrontare. Relegato nell’ambito degli affari correnti, ha però delle valenze politiche molto importanti.

La prima è quella di non creare ulteriore scontento, dopo quello della Buona Scuola, che pur avendo assunto decine di migliaia di docenti è stata un vero e proprio boomerang per Renzi & co.



La seconda riguarda il numero di coloro che sono coinvolti, che, visto il periodo elettorale, nessuno sottovaluta. Il numero degli addetti, poi, influisce notevolmente sulla gestione della parte economica. La scuola italiana, infatti, è uno dei settori con più addetti in Europa e da anni si dice abbia più dipendenti del Pentagono.



A guardare i dati da vicino quasi non ci si crede: il personale ausiliario, tecnico e amministrativo, compresi i circa 8mila Dsga (direttori servizi generali e amministrativi), ammonta a 202.134 dipendenti, mentre il personale docente a tempo indeterminato (supplenze e incarichi annuali) ammonta a circa 115mila unità. Il grosso è rappresentato dai 729.668 docenti di ruolo di ogni ordine e grado, a cui si devono aggiungere 8.072 dirigenti scolastici, ma sui quali si è già pervenuti a un accordo contrattuale nei mesi scorsi e per coprire i posti vacanti si deve far partire il concorso ordinario, il cui bando è scaduto a fine dicembre. Un “esercito” di 1.046.930 dipendenti che non potrà ottenere molto dal punto di vista retributivo, con risorse scarse per recuperare le perdite del potere d’acquisto, causate dal blocco contrattuale iniziato nel 2009.



A questo punto sorge il sospetto (e saranno i fatti dei prossimi giorni a confermarlo o smentirlo) che una materia così scottante non possa giungere a conclusione prima delle elezioni del 4 marzo e che sia iniziata una melina tra sindacati e Aran per far passare febbraio. Perché, se sono vere le notizie fornite dai sindacati minori (Usb, Sgb, Cub, Cobas e Unicobas) — i quali, sempre sul piede di guerra, parlano di aumenti di 35 euro netti al mese e di una tantum di 300 euro per il recupero del blocco contrattuale — la stasi della contrattazione è ben più che un’ipotesi. Il rinvio conviene al governo del Pd, più che ai sindacati maggiori, tra cui la Cisl, che ha assunto un ruolo di mediazione, come si evince dal comunicato del 25 gennaio di Maddalena Gissi, segretaria generale del comparto scuola.

Passate le elezioni, la strada sarebbe in discesa, con il Governo ancora in carica per alcuni mesi, visti i tempi lunghi dettati da una legge elettorale fatta apposta per non favorire un vincitore. Senza il ricatto elettorale, si potrebbe arrivare a un accordo con cifre minori rispetto agli 85 euro di aumento indicate nel pre-accordo del novembre scorso. In questo modo, per esempio, il Governo potrebbe evitare il salasso del recupero dello scatto di anzianità cassato nel triennio 2011-2013, che secondo Tecnica della scuola avrebbe fatto risparmiare al governo Letta 100 milioni subito e circa il triplo negli anni seguenti. Un capitolo delicato, di cui non sembra ci sia la copertura, ma che permetterebbe a tanti docenti di completare la carriera con una progressione economica adeguata e che arginerebbe gli effetti del sistema pensionistico contributivo.

La partita, poi, è delicata anche dal punto di vista interno. Questa lunga vacanza contrattuale di quasi nove anni; il citato blocco triennale degli scatti di anzianità; la Buona Scuola giudicata fallimentare sotto quasi tutti i punti di vista, con tanti oneri (che saranno inclusi anche nella parte normativa dell’accordo in fieri); la vicenda dei maestri abilitati e ora esclusi dalle gare o licenziati per effetto della sentenza del Consiglio di Stato dello scorso novembre; il merito docenti, mai veramente decollato e con benefici goduti solo dai piccoli gruppi che hanno l’onere della direzione delle scuole; una situazione emergenziale del problema educativo, con una sostanziale solitudine dei docenti, ma con obblighi sempre crescenti, hanno reso la scuola una questione altamente problematica, un fuoco che cova sotto le ceneri.

La prova sta in una sorta di catena di sant’Antonio, apparsa su whatsapp, che in una sera di metà gennaio ha letteralmente invaso il noto social. Alla notizia che ai docenti toccherebbero le briciole (molto meno del comparto sicurezza, il cui accordo è stato appena chiuso), ha scatenato una ridda di reazioni allarmate e indignate. Libera di navigare senza mediazioni, la protesta è durata una sera, ma se all’Aran dovessero essere commessi errori, se persistesse il giudizio che al Miur gli addetti alla scuola sono sempre considerati come numeri e massa di manovra di un apparato iperburocratico, il fuoco improvvisamente potrebbe divampare.