Da persona che da anni segue con attenzione gli sviluppi dei temi legati al settore paritario, tratta, lotta, scrive, propone, mobilita a seconda delle situazioni, sono rimasto annichilito e senza parole (ecco il perché del mio silenzio) quando ho appreso che la legge di bilancio approvata a fine dicembre non solo non prevede, come auspicato, un altro passo avanti verso l’incremento di contributi a sostegno del servizio pubblico erogato dalle scuole paritarie, ma addirittura prevede un taglio di 60 milioni.
Mi chiedo il perché ricordando la giusta enfasi, basata su dati oggettivi, con la quale il sottosegretario Toccafondi, con delega per le scuole paritarie, aveva annunciato i positivi risultati ottenuti nella legge di bilancio 2017 nella quale, dopo tanti anni, si era deciso un incremento complessivo notevole, come io stesso avevo riconosciuto ed evidenziato in un mio articolo.
“Abbiamo creduto e crediamo nella scuola statale e non statale (…) La paritaria è la seconda gamba del sistema di istruzione nazionale. Bisogna guardare al sistema. Come si fa a non comprendere questo? E come si fa a non comprendere che se cede una delle due gambe, e parlo della scuola non statale, cede l’intero sistema? (…) Complessivamente sono 570 milioni (rispetto ai 494 dell’anno precedente). E’ il massimo che nella storia di questo paese si è raggiunto per la scuola paritaria” affermava, ripeto giustamente, il sottosegretario.
Ho cercato di fare un’analisi per darmi e dare una risposta a questo perché. La prima considerazione è di natura politica e non è positiva visto che alcuni commenti all’approvazione della legge di bilancio 2018 (un solo articolo di 1.247 commi) sono critici e affermano che diverse modifiche, rispetto al testo originario, hanno carattere “elettoralistico”. Cosa significa? Il mondo politico considera ininfluente il “popolo delle paritarie” e non lo ha considerato nelle sue scelte?
La seconda nasce dallo stridore dei dati. A fronte neppure del minimo atteso (stabilizzazione di quanto erogato lo scorso anno) e a una riduzione di 60 milioni del contributo precedente (pari al 10,47 per cento sui precedenti 573 milioni: i numeri parlano più delle parole) esce la notizia recante l’ultimo dato sul debito pubblico che vede in ottobre un incremento di 5,8 miliardi rispetto al mese precedente, nonostante l’annunciata politica di abbattimento della spesa pubblica e conseguentemente del debito pubblico. I responsabili finanziari del nostro Governo hanno presente che ogni scuola paritaria che chiude (infanzia in particolare) non comporta un risparmio, ma un costo aggiuntivo per lo Stato? Ci si rende conto che questa scelta metterà in ulteriore difficoltà tante scuole e la “morìa” non potrà che continuare?
La terza considerazione nasce dall’introduzione del sistema integrato 0-6 anni che ho considerato e considero una grande vittoria di sistema per le scuole paritarie. Non vorrei si fosse fatta una sopravvalutazione dello stanziamento al sistema, precedente la legge di bilancio, di 209 milioni, di cui parte erogati alle scuole paritarie (vedi delibera di giunta regionale n. 7404 del 20 novembre 2017 che ha deciso di erogare il 15 per cento alle scuole paritarie), poiché, anche nella migliore delle ipotesi che quanto deciso in Lombardia sia esteso ed applicato su tutto il territorio nazionale, l’importo erogato sarebbe di circa 30 milioni, la metà di quanto è stato tagliato.
E’ mia convinzione — ma l’ho già scritto su queste pagine — che l’unica soluzione che può portare risultati concreti è una rivoluzione di sistema, ormai indispensabile sia alle scuole statali sia alle scuole paritarie. Una rivoluzione che punti ad un nuovo modello organizzativo e ad un nuovo sistema di finanziamento di tutte le scuole del sistema.
Una linea auspicata dallo stesso sottosegretario Toccafondi in una sua intervista del luglio scorso: “Su temi come libertà educativa, autonomia, valutazione, merito non si può più evitare di decidere o stare in disparte. Occorre, pertanto, che chi ha la responsabilità delle scelte faccia una riflessione, si faccia portatore determinato di una proposta ‘rivoluzionaria’, dirompente da proporre con coraggio al consenso dei cittadini e, dopo averlo ottenuto, la attui”.
L’insediamento del tavolo di lavoro per lo studio del costo standard di sostenibilità potrebbe essere il primo passo nella giusta direzione verso questa “rivoluzione”, ma i risultati — se ci saranno — non potranno che aversi nel medio-lungo periodo.
La grave emergenza, che questa scelta politica ha acuito, ci dice che il tempo sta per scadere e non è più possibile aspettare la panacea che potrebbe uscire dall’auspicata rivoluzione. Si rende necessario un intervento straordinario e potrebbe essere realmente opportuno che il Governo, come ha emanato un decreto “salvabanche” con stanziamento di un consistente pacchetto di miliardi potrebbe emanare un “decreto “salva paritarie” cui basterebbe una copertura notevolmente inferiore. Un tale intervento non servirebbe solo ad evitare altre chiusure, ad evitare aggravi di spesa per lo Stato che dovrebbe comunque farsi carico del servizio da erogare ai cittadini, ma anche a ri-alimentare il diritto al pluralismo educativo un bene civico fondamentale per la crescita culturale equilibrata di una Paese.
Le reazione dei genitori della scuola Zaveria Cassia, recentissimo caso di chiusura di una scuola a Roma San Basilio, presente da 70 anni sul territorio, è emblematica poiché oltre ad essere pronti a pagare una retta più alta, lamentano il mancato intervento istituzionale: “questo quartiere è abbandonato da tutti!” è il grido che si alza, un grido civico che fa trasparire la preoccupazione del venir meno del pluralismo educativo di cui ogni territorio ha bisogno per crescere.
Per la cronaca, va ricordato che nel 2001 il contributo dello Stato ammontava a 535 milioni. Oggi, tolti i 60 per il taglio previsto, si scende a 510 milioni (compresi i 23 milioni per l’handicap), mentre la sola rivalutazione inflativa per mantenerne il potere di acquisto avrebbe dovuto portarlo a 722 milioni.
Occorre una forte reazione, ed in questo le associazioni hanno una grande responsabilità, per risvegliare il “popolo della parità”, quel popolo che raccolto da 31 associazioni unite e determinate si presentò nel 1999 in Piazza San Pietro a gridare per cinque (interminabili per alcuni politici presenti) minuti “libertà libertà”, ottenendo l’approvazione della legge di parità. Solo se quel popolo assopito si risveglierà e, ripeto, in questo senso le associazioni (soprattutto quelle dei genitori) hanno una grande responsabilità, nei prossimi due mesi si potrà fare la giusta pressione politica per capire chi potrà dar garanzie, anche per un intervento straordinario senza aspettare la prossima legge di bilancio, e far capire che averlo considerato “ininfluente” è stato un grande errore, poiché se questo popolo vuole può avere grande forza di contrattualità politica (900mila studenti possono rappresentare circa 2 milioni di voti).
Il pluralismo educativo è un bene indispensabile per la crescita culturale di un territorio; un diritto il cui riconoscimento porta alla modernizzazione ed allo sviluppo di un Paese.