Sono diverse migliaia i docenti che quest’anno dalle scuole paritarie sono passati alle statali, ambito in cui, per i dipendenti, contratti e retribuzione sono migliori. Un conto infatti è un contratto a tempo indeterminato nel privato, un conto è il posto fisso nello Stato.

Non è facile fare un calcolo preciso, ma se si conduce un’indagine a campione, si riscontra che quasi tutte le scuole paritarie, anche quelle degli enti locali, hanno subìto il travaso. In certi casi buona parte del personale docente è stato assunto a tempo indeterminato nella scuola statale. È accaduto così che a pochi giorni dall’inizio delle lezioni 2018-19 i gestori abbiano dovuto fare i salti mortali per serrare i ranghi e sostituire i docenti mancanti, con gravi ripercussioni sulla didattica e sulle famiglie, che di punto in bianco si sono viste sostituire gli insegnanti, e con buona pace per la continuità didattica e per le relazioni scuola-famiglia.



Si potrebbe obiettare che la mobilità è un fattore necessario e ineliminabile per tutte le aziende, anche nelle scuole. Ma quando il fenomeno diventa generale e sistematico e a farne le spese è sempre uno dei due settori di cui è costituito il sistema dell’istruzione italiana, quello paritario a discapito di quello statale, bisogna constatare che qualcosa non funziona.



Com’è noto, per poter insegnare nelle scuole paritarie bisogna essere dotati di abilitazione e per l’infanzia e la primaria è ancora sufficiente essere dotati di un diploma magistrale acquisito prima del 2001-2002, in quanto quel titolo di studio era abilitante; dopo quella data bisogna aver frequentato un corso di laurea nella formazione primaria. Le scuole paritarie possono assumere anche personale dotato solo di laurea, qualora siano impossibilitate ad avvalersi di docenti senza abilitazione.

Negli ultimi 4-5 anni però lo Stato non ha organizzato alcun percorso abilitante, continuando ad assumere personale derivante dai concorsi ordinari e dalle graduatorie a esaurimento (Gae), svuotando di fatto il bacino dei docenti abilitati. Quest’anno, in particolare, hanno avuto la proposta di assunzione moltissimi di quei docenti, indietro nelle graduatorie, che nel frattempo si erano sistemati proprio nelle paritarie e avevano contratti a tempo indeterminato.



Ecco, dunque, uno Stato che diventa concorrente, quando ha bisogno di docenti, delle altre realtà scolastiche, asciugando i loro organici e impoverendo la loro offerta formativa. Insomma, si comporta da asso pigliatutto, perché detta le regole, decide quale e quanto personale assumere senza tener conto delle esigenze delle altre agenzie scolastiche, tiene i cordoni della borsa, e non concede, quando dovrebbe, in base a leggi votate dal Parlamento, gli adeguati finanziamenti alle paritarie.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: da una parte una scuola paritaria debilitata, svilita, numericamente in diminuzione, con poche risorse, con docenti sempre più precari, imbalsamata da un crogiolo di norme che le tolgono l’aria; dall’altra un’istruzione statale costosissima, autoreferenziale, onnivora, con sistemi di valutazione inesistenti, con gap formativi in lingue straniere, matematica e lingua italiana, gestita da una burocrazia ministeriale miope, che continua a emettere un numero impressionante di circolari ma non riesce neppure a elargire i contributi alle non statali entro l’anno scolastico di riferimento.

Il neocentralismo statalista ottiene, in questo modo, un sistema d’istruzione di scarsa qualità, ma sembra perseguire, in modo un po’ subdolo per la verità, anche l’obiettivo di ridimensionare la scuola paritaria, per ritornare ai vecchi criteri della “pubblica istruzione”, con al centro la sua scuola, unica e indivisibile. Davvero Lega e 5 Stelle vogliono tornare al socialismo reale?