Torniamo, e perché no, sull’abolizione del tema di storia alla prossima maturità 2019, confermata dalla risposta del ministro alle obiezioni relative a questa specie di censura. Domanda: non le dispiace la scomparsa del tema di storia dalle tracce della maturità? Risposta: la storia è una disciplina importantissima. È alla base della cittadinanza. Con il nuovo esame non si vuole mortificarla. Ognuna delle tre tipologie previste potrà interessare, e interesserà, anche l’ambito storico. Fine della risposta (La Stampa, 11 ottobre).
Che è come dire: il classico tema di storia viene abolito, sostituito dall’ambito. In effetti, la circolare ministeriale del 4 ottobre scorso fa riferimento, per quanto riguarda la prima prova scritta di italiano, a differenti tipologie testuali in ambito artistico, letterario, filosofico, scientifico, storico, sociale, economico e tecnologico. Il documento di lavoro che accompagna la circolare, elaborato da una commissione di esperti guidata dal linguista Luca Serianni, rimanda a proposito degli ambiti, e non potrebbe fare altrimenti, al decreto legislativo 62/2017 del governo allora in carica (Gentiloni), in cui la prima prova scritta consiste nella redazione di un elaborato con differenti tipologie testuali da svolgere nei suddetti ambiti. Le sette tracce che saranno proposte ai ragazzi maturandi da svolgere su tre tipologie (due per l’analisi del testo letterario, tre per la produzione del testo argomentativo e due per il tema di attualità) nel loro insieme, è dato di capire, toccheranno in qualche modo gli ambiti. Quindi non sarà assegnata una prova per ogni ambito, ma appunto sette prove da sviluppare in ambiti, si presume, accorpati. Tipo: artistico-letterario; filosofico-scientifico; storico-sociale; economico-tecnologico. Sarà così? Forse, si vedrà.
Ma non è tanto quest’articolazione che interessa gli estensori del documento di lavoro (Commissione Serianni), quanto insistere sulla capacità degli alunni di sapere padroneggiare dei testi. Cioè sapere interpretare e conseguentemente argomentare su testi altrui: un brano poetico, un articolo di giornale, un editoriale, uno spunto di carattere esistenziale. È chiaro che, in quest’ottica, il tema di storia ci starebbe alquanto stretto, essendo che in campo storico c’è molto da argomentare, ma ancora di più da concatenare cause ed effetti.
A questo proposito viene spontaneo ricordare che in un recente passato la cultura storica è stata attraversata da un grande dibattito sull’utilità della storia che in ultima istanza dovrebbe aiutare a superare le causalità singole (cioè le rigide successioni cronologiche) per acquisire la maestosità dello sviluppo complesso per nodi ed epoche fondanti: epoca della borghesia, epoca delle rivoluzioni politiche, epoca dei nazionalismi, epoca della democrazia, ecc. Ma sembra che tutto questo non entusiasmi chi ha congegnato il “nuovo” esame ed abolito il tema di storia. Un pessimo segnale, dato che la storia è una materia fondamentale, in quanto appunto fondante la memoria di epoche e di avvenimenti che hanno segnato la vita di intere generazioni.
Pessimo segnale per due motivi sostanziali. Primo, perché a ritroso è come se si gettasse ulteriore discredito su una disciplina ridotta ormai a ben poco nella scuola: poche ore, troppa didattica della storia, poca dimestichezza con linguaggi specifici e causalità complesse e ideali. Probabilmente la didattica della storia ha ucciso la narrazione storica. Probabilmente la storia globale ha ucciso la storia delle identità, dei popoli e delle forme politiche. Non è vietato tuttavia agli insegnanti proporre una storia come narrazione, cioè sviluppo di eventi umani che si dispiegano tra esperienze e grandi aspettative.
E qui purtroppo, sulla questione della libertà di insegnamento e di educazione, interviene il secondo motivo. Pare che il tema di storia sia stato epurato dalla prossima maturità perché fino ad ora svolto da una minoranza di studenti. Nei dieci esami di Stato dal 2008 al 2017, informano i siti scolastici, il tema storico è stato praticamente ignorato, solo il 3% degli esaminandi complessivamente lo avrebbe affrontato. Se davvero fosse questa la ragione della esclusione, ci auguriamo di no, saremmo alla follia. Dunque vorrebbe dire che le prove devono essere vagliate da una sorta di referendum popolare. Che dire allora delle seconde prove? Volete Cesare o Seneca per la versione di latino? Cesare sì, Seneca no. E gli esercizi di matematica? E le prove pratiche? Ma non dovrebbe competere a chi educa conoscere e sfidare, nei limiti del possibile, i propri alunni?
La strada imboccata non convince affatto, anche perché il povero tema di storia è sempre stato (e così continuerebbe ad essere) assegnato alla libera scelta dello studente, che può decidere se cimentarsi oppure no. In ultima analisi l’offerta di diverse tracce è anche una questione di pluralismo culturale. Rendere in qualche modo omogenee le tracce ed eliminare la più “aliena” sa molto di fabbrica del consenso. Sarebbe il caso di ripensarci.