In tutte le cose della vita serve carattere. Sembrerebbe una pillola di saggezza prossima alla banalità invece che il risultato di una carriera di studi, quella del Nobel per l’economia James Heckman; e invece è proprio così: senza “character” non c’è sviluppo, né miglioramento della qualità della vita individuale e sociale. Insomma, il carattere fa bene al Pil. Qualcuno potrebbe servirsene per dimostrare che poiché “basta il carattere”, studiare non serve; ma subito una valanga di dati come quelli prodotti dalle ricerche di Heckman sarebbero pronti a smentirlo. I soldi spesi in formazione sono sempre spesi bene e a dimostrarlo sono gli stessi Stati Uniti, una sorta di “multinazionale formativa” che arruola cervelli da tutti i paesi del mondo, mettendo ogni tipo di risorsa al loro servizio. Qualcun altro, invece, si darebbe da fare per vagliare le tesi di Heckman alla luce di quanto avviene nella scuola italiana statale e paritaria. 



E’ quello che ha fatto la Fondazione Grossman di Milano, alla quale fanno capo le cooperative scolastiche San Tommaso Moro e Alexis Carrel, che hanno in gestione un intero percorso scolastico, dall’infanzia al liceo (classico e scientifico), quasi mille alunni e più di cento docenti. Alla Grossman è venuta un’idea: mettere alla prova la “carta d’identità” della scuola, l’elaborazione di un’impresa educativa lunga quarant’anni, con le più recenti acquisizioni in tema di capitale umano. Un concetto, quest’ultimo, che potrebbe suscitare l’ostilità (preconcetta) di chi si scandalizza nel vedere accostati cultura e valore economico. Nulla di più sbagliato, con buona pace degli acerrimi nemici della “scuola-azienda”, che stavolta sono davvero fuori strada. Non è questo il punto. 



C’entra invece una “scoperta” sorprendente, che riguarda proprio il risultato degli studi di Heckman: le non-cognitive skills, le abilità attinenti al character o comportamentali, vale a dire tutto ciò che non attiene alle abilità cognitive misurabili, è decisivo, ben più delle conoscenze teoriche, nella formazione e nella riuscita della persona per tutta la sua vita futura, dentro ma soprattutto fuori della scuola, a cominciare da un mondo del lavoro in cui il tasso di obsolescenza tecnologica chiede oggi alle persone una flessibilità mentale e un’apertura al nuovo che fanno del nostro “cambiamento d’epoca” una sfida che non perdona.



E così sabato scorso la Fondazione Grossman ha ospitato una conferenza di Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà e ordinario di statistica nell’Università Bicocca, che nel 2016 ha firmato un’ampia introduzione allo studio di Heckman e Kautz, Formazione e valutazione del capitale umano. L’importanza dei “character skills” nell’apprendimento scolastico (il Mulino). 

Vittadini ha svolto il percorso di Heckman, dalla critica della scuola Usa dove si studia in modo standardizzato solo ciò che serve alla produzione e all’utilità — e dove il “teaching to the test”, alla fine, la fa da padrone — fino alla critica del funzionalismo all’italiana (Eco e De Mauro), per approdare alla scoperta decisiva di Heckman: la persona è depositaria di capacità “non cognitive” che, se educate, si rivelano molto più importanti a livello formativo ed educativo di quelle propriamente cognitive.

Insomma, non è la “catena di montaggio” delle conoscenze a salvare la scuola, ma l’appello alla persona nelle sua integrità di soggetto dotato di ragione e affezione. E guai a espungere la seconda — le emozioni — dalla prima, perché entrambe formano un tutt’uno che il razionalismo ha arbitrariamente diviso. Con conseguenze disastrose. Questo dicono, in fondo, i “big five” di Heckman: energia, amicalità, coscienziosità, stabilità emotiva, apertura mentale all’esperienza. Provi, chi vuole, a separare la ragione emotiva dalla ragione cognitiva in questi tratti della personalità di cui ognuno può facilmente costatare l’importanza nella vita della persona adulta in relazione, e otterrà soltanto sterili astrazioni. 

Ed è proprio a questo punto che James Heckman, Nobel per l’economia — e non per la “morale”, ha più volte sottolineato Vittadini —, incontra il lavoro quotidiano dei docenti della “Grossman”. Professionisti che educano bambini e giovani ad essere autonomi e creativi, attenti alle circostanze, fiduciosi della positività del reale, disponibili a vagliare la tradizione ricevuta, guidati in questa avventura da chi, più grande di loro, quel cammino ha già compiuto almeno in parte. Una “introduzione”, accompagnati per mano, passo passo, nella complessità della vita, dall’analisi logica alla fotosintesi, dalle equazioni ai lirici greci, fino alla decisione su cosa fare “da grandi”. Qui, davvero, per il nozionismo fine a se stesso (e la noia) non c’è posto. Il carattere è tutto.

P.S. Vedere per credere? Le scuole della Fondazione Grossman danno appuntamento alle famiglie in occasione dei prossimi Open Day: sabato 10 novembre liceo classico e scientifico, sabato 17 novembre infanzia, primaria e scuola media.