Ho letto in questi giorni Lettera ai politici sulla libertà di scuola, scritto dal filosofo Dario Antiseri e da suor Anna Monia Alfieri per i tipi di Rubbettino: un libretto davvero “serio e battagliero”, che parla della scuola paritaria, facendo capire quale sia l’essenza stessa di una scuola “vera”. Finalmente!



Finalmente si parla dell’essenziale e si fa capire al lettore cosa non va nella scuola italiana: cento paginette agguerrite (difficilmente i politici saprebbero leggerne di più), che fanno capire come la scuola sia lo snodo fondamentale e decisivo per l’avvenire di una società che voglia davvero crescere e migliorare.



Difficile farne una sintesi. Con competenze diverse i due autori aiutano il lettore a capire come l’essenziale per l’efficacia di una scuola sia la libertà educativa: di chi la dirige, di chi vi lavora e, soprattutto, di quanti in essa vengono educati, proprio perché in nessun processo umano la libertà è decisiva come nel processo educativo, il processo umano per eccellenza.

Dietro la scuola deve esserci un popolo che vive la propria storia e che costruisce il suo futuro attraverso l’educazione dei propri figli. E’ proprio vero quel proverbio africano che ci ricorda che “per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”; il compito della scuola e di chi vi lavora – docenti e dirigenti in primis – è straordinario: prendersi cura del bambino, del giovane e aiutarlo, nella sua irripetibilità, a diventare soggetto attivo nel contesto umano in cui è stato chiamato a vivere. Un compito straordinario e anche prezioso, che deve essere svolto in profonda sintonia e collaborazione tra famiglie, educatori ed educandi, perché, se è vero che il processo educativo inizia in modo etero-diretto (educano i genitori, i maestri, il parroco, i giornali, la tv eccetera), esso mira però a diventare auto-diretto, perché l’educando deve essere educato alla responsabilità, che è bella e persino desiderabile solo se è gradualmente assunta in modo consapevole e libero.



Purtroppo la politica non sembra mostrare un interesse vero per la vita del popolo, perché la maggior parte dei politici non desidera governare, ma vuole solo vincere: l’ideologia prevale sulla cultura e questo altera profondamente la capacità operativa delle stesse istituzioni educative che dipendono direttamente dal potere politico.

Nel 2000 fu approvata la legge n. 62/2000, che istituiva un unico sistema scolastico nazionale, equiparando scuole statali e non statali che avessero le stesse caratteristiche richieste alle statali: una scelta molto giusta, ma che non ha avuto adeguata attenzione da parte della politica. Quasi due terzi dei Paesi più evoluti – informa correttamente suor Anna Monia – dispongono un finanziamento che è destinato anche alle scuole non governative e tale che favorisce almeno due delle tre modalità di aiuto alle scuole paritarie: finanziamento dei docenti, dei costi operativi e dei costi di investimento in strutture e attrezzature. Questa situazione, neppure immaginabile in Italia, favorisce il superamento del modello burocratico, a favore di reti cooperative gestite dalle comunità più vicine al territorio e stimolando una seria competizione tra i diversi istituti.

Tutti comprendiamo bene che, se i costi per gli utenti delle scuole pubbliche (statali o non statali) sono equivalenti, c’è un generale miglioramento dell’offerta formativa, perché gli utenti – a parità di costo – preferiscono la scuola migliore, non quella più “facile”, ma quella che offre una formazione culturale più solida: è infatti chiaro a tutti che la selezione che non fa la scuola, la farà poi la vita. Una scuola “facile” non produce neppure validi professionisti. Una scuola che li mettesse in campo, sarebbe volentieri sostenuta anche da industrie e da operatori economici del suo territorio. Qualche esempio c’è anche da noi in Italia.

Chi difende la scuola libera non è contrario alla scuola di Stato: è contrario al monopolio statale nella gestione della scuola. Tale monopolio – anche se solo “di fatto”, perché “teoricamente” nessuno ostacola la creazione di scuole libere – vìola alla base la giustizia sociale, perché le famiglie che iscrivono il figlio alla scuola non statale pagano due volte: con le imposte (per un servizio di cui non usufruiscono) e per la retta che versano alla scuola non statale.

E’ tempo che la scuola italiana diventi davvero pubblica: ne trarrà beneficio la cultura, perché ci sarà una gara virtuosa tra pubblico e privato che costringerà entrambi gli ambiti a migliorare, e – cosa non meno importante – lo Stato farà un bel risparmio, perché i 900mila studenti circa che frequentano oggi le scuole non statali comportano per lo Stato un risparmio di circa 6-7 miliardi di euro. Un servizio è “pubblico” quando è accessibile a tutti in modo libero, senza alcuna preclusione né economica, né sociale, né organizzativa.

La “lettera ai politici” di Antiseri e Alfieri è un libro da leggere, interessante e ricco di spunti, a partire dalla domanda posta fin dalle prime righe: è più pubblica una scuola statale inefficiente e sciupona oppure una scuola efficiente ma non statale?