La stampa ci informa che i 5 Stelle hanno proposto un emendamento alla legge di bilancio che prevede l’assunzione di 2mila maestri per l’inizio dell’estensione obbligatoria del tempo pieno alle elementari.
L’emendamento è passato alla Commissione cultura della Camera ed ora sarà esaminato nella Commissione bilancio.
Non mi risulta che la cosa fosse prevista nel programma di governo di M5s e Lega. E mai era stata nominata negli asfittici discorsi del ministro Bussetti, il quale aveva comunque sempre sostenuto di non volere l’ennesima riforma della scuola.
Personalmente sono anche doppiamente sorpreso e deluso, perché pensavo che l’idea del reddito di cittadinanza avesse messo fine a quell’uso improprio dello Stato che vediamo da decenni.
La scuola in particolare è stata il campo di massima esplicazione delle assunzioni di tipo assistenziale fatte nello Stato. Invece della ricerca —nell’assunzione del personale — dell’efficacia formativa e del benessere di alunni e famiglie si è proceduto sempre nell’ampliamento del tempo scuola per gli alunni e del conseguente aumento automatico del numero degli insegnanti.
Fino ad oggi però si era lasciato un margine di scelta ai genitori, che venivano indicati come i massimi fruitori dei benefici del tempo pieno. Adesso anche questo margine risulta insopportabile e si cerca di introdurre un obbligo che non ha eguali in Europa.
Inutili sono state le molteplici richieste di un’alternativa al mito del tempo pieno con l’introduzione di un curricolo obbligatorio ridotto, affiancato da attività opzionali di sostegno e di approfondimento.
Tante volte quando ero preside mi ero lamentato dell’abbandono di qualunque attenzione alla qualità della scuola e del personale in favore del prolungamento improprio del tempo scuola per gli alunni. In alternativa sostenevo e sostengo il tempo pieno per gli insegnanti, o almeno per il 50 per cento di essi. La qual cosa consentirebbe un lavoro preciso ed ampio in collaborazione con famiglia e territorio, cose che tutti esaltano senza però crearne i presupposti.
Questo presupposto del docente a tempo pieno era ritenuto indispensabile anche dall’amatissimo don Milani, commemorato solennemente ai massimi livelli del ministero lo scorso anno. Don Milani, nella sua famosa Lettera a una professoressa, parlava in maniera tagliente dell’orario degli insegnanti statali italiani. Orario unico in Europa per il suo nanismo, perfettamente speculare al gigantismo dell’orario degli alunni. Tutti dicono di amare don Milani ma nessuno segue e nemmeno cita questo suo insegnamento.
In Europa il tempo scuola obbligatorio alle elementari è mediamente intorno alle 24 ore settimanali. Da noi, con la tradizionale libertà di scelta per le famiglie ribadita nella riforma Gelmini, viene proposta ai genitori, all’atto dell’iscrizione, una scelta variabile, che vede la maggioranza delle famiglie optare per la formula delle 30 ore settimanali. La scelta del tempo di 40 ore non è mai riuscita a superare il 50 per cento dei casi. E questo nonostante un pressing propagandistico sia dei presidi che dei sindacati per la formula del tempo pieno di 40 ore.
Le vere motivazioni del sostegno implacabile verso il tempo pieno consistono proprio nella meccanica espansione del numero dei docenti che è da decenni l’unica costante degli interventi nella scuola. E il vecchio vizio purtroppo non demorde. Anche se ormai cresce continuamente il numero degli specialisti che segnalano gli effetti negativi dell’eccesso del tempo scuola, dello studio e dei compiti. Si è parlato perfino della carenza di ore di sonno per i bambini e degli effetti di questa carenza che produrrebbe anche l’obesità.
Colpisce l’aspetto assolutamente gratuito di quest’ipotesi del tempo pieno obbligatorio, in una fase di drammatica carenza delle risorse finanziarie a disposizione del governo. Drammatica carenza sostenuta, difesa e giustificata proprio con la necessità di stabilire il reddito di cittadinanza. Reddito che dovrebbe e potrebbe liberare le assunzioni statali dal peso antico dello sbocco stipendiale per il ceto medio disoccupato e uno dei cardini del vecchio meridionalismo in teoria abbandonato dalla nuova maggioranza.
La riduzione della spesa statale ordinaria, che verrebbe invece aumentata con questo provvedimento, è stata prospettata più volte come uno dei mezzi per non sforare il 2,4 per cento di deficit annuale di bilancio previsto come soglia massima per il prossimo anno.
Ma allora com’è uscito questo mostriciattolo e da quale cilindro?