Che il tempo pieno sia utile è risaputo; che sia dilettevole è tutto da dimostrare. Così la recente manovra che mira ad introdurre il tempo pieno in tutte le elementari lascia sbigottiti, perché da anni aspettiamo invece un’inversione di tendenza che lasci più tempo ai genitori per stare con i figli. Inversione che non ci sarà, nonostante sia sempre più chiaro che la scuola aziendalizzata e “tempopienizzata” si allontana dalla sua vocazione e dal suo mandato. Già, perché non diciamo un’eresia ribadendo che la scuola è nata per sussidiare quell’educazione, quella parte dell’educazione, che la famiglia e la società non riesce a dare per mancanza di strumenti specifici. E che è nata per essere un intermezzo tra le attività proprie dell’infanzia: il sonno, il gioco, la nutrizione, le coccole in famiglia. Invece da decenni sembra il contrario: che la scuola sia il mare e lo stare in famiglia degli isolotti dentro questo mare, inevitabili e magari trascurabili.
La nostra critica si basa su osservazioni fisiologiche: stare al chiuso fa male al bambino, così come richiedere la sua attenzione in un’età che non riesce a fornirla per più di pochi minuti; ma anche stare seduti per ore, stare dentro stanze che per la loro struttura fanno sforzare gli occhi indebitamente su oggetti sempre troppo vicini per un bambino. Fa male svegliarsi alle 7, quando va bene, e fa male richiedere a 30 soggetti di imparare le stesse cose con lo stesso ritmo. Insomma, la scuola sarebbe da rivedere.
Come? Con l’ingresso della famiglia che può personalizzare l’insegnamento e far scendere la tensione. Invece la famiglia è tenuta fuori, anzi viene costretta a credere che sia un bene che resti fuori, sia perché l’insegnamento è una questione statale – dicono –, sia perché la famiglia deve lavorare tutto il giorno, ci dicono. Conclusione: la famiglia trova nella scuola una babysitter. Ma vi sembra normale? Vi sembra normale che sia normale (!) che i genitori vedano i figli un’ora al giorno, quando tornano stravolti dal lavoro? E che i figli quindi vedano i genitori al volo, stravolti anch’essi, e si risolvano i rapporti familiari in un’ora serale passata poi di solito tra tv, telefonini, cene riscaldate e precotte?
Quanto ci piacerebbe un po’ di fantasia nel costruire una nuova scuola e nuovi rapporti di lavoro, più umani l’una e gli altri. Invece la scuola resta un’azienda, funzionale alle necessità dei grandi e non certo dei bambini parcheggiati, tracimante di nozioni per giustificare il moltiplicarsi degli insegnanti, perché non si concepisce una scuola che faccia divertire e giocare invece di limitarsi alle mille materie e mille date e mille sfumature di inglese. In Inghilterra dicono che la scuola elementare dovrebbe limitarsi alle “tre R” contenute in “reading, writing and arithmetic”, cioè leggere, scrivere e contare. Già, perché nessuno ha mai dimostrato che la scuola elementare debba avere per forza dei contenuti di programma che siano una riproduzione in scala di quelli delle medie (che sono una riproduzione in scala di quelli del liceo): che scarsa fantasia!
Vale la pena ricordare che una scuola-azienda è l’anticamera della litigiosità tra famiglie e insegnanti, perché le prime vanno a pretendere un esito “perché ho pagato un prodotto”, e i secondi vengono proiettati in una visione impiegatizia, senza incentivi motivazionali.
La scuola è un gioco, etimologicamente: viene dal termine greco skolè che significa ozio, riposo, agio; perché la sua missione era di far assorbire delle belle nozioni dal contatto con delle belle persone. Aver trasformato tutto in azienda e in azienda-babysitter ne è l’oltretomba. Chi può e chi deve, vi ponga rimedio.