Anche la crisi dell’istruzione classica va contestualizzata all’interno del fenomeno planetario della globalizzazione. La culla della mitologia è diventata palcoscenico della pubblica ira dei classicisti del globo terraqueo, alla notizia che verrà abolito l’insegnamento della lingua latina al “liceo” in Grecia. Già nel 2016 l’allora ministro greco dell’Istruzione e della Ricerca nel governo Syriza, Nikos Filis, si era fatto promotore di una singolare iniziativa, forse sulla scia dei numerosi tagli alla spesa pubblica dovuta alle imposizioni dell’austerità targata Troika: l’abolizione del greco antico, quasi per tutti obbligatorio nel curricolo scolastico della terra di Omero. Il premier Alexis Tsipras, in uno dei tanti rimpasti di governo, sostituì Filis con Kostas Gavroglu, docente di storia della scienza all’Università di Atene,  ma il motivo era un altro: Filis aveva ventilato l’idea di ridurre anche le ore di religione, ma la Chiesa in Grecia è una potenza e il progetto naufragò. 



Dal 2014 in Grecia si è assistito a uno sgretolamento della cultura classica tra i banchi degli studenti ellenici: ora ci sono tre ore in meno al “ginnasio”, ovvero il biennio del liceo, in cui è stata eliminata anche la traduzione del celebre discorso Epitaffio, pronunciato da Pericle per i morti della guerra del Peloponneso nello stile secco di Tucidide, un brano che ha costituito un banco di prova per intere generazioni di studenti greci. Ma agli inizi di settembre del 2018, lo stesso Gavroglu,  prendendo esempio dal suo precedessore, ci riprova con una proposta più moderata: l’abolizione della lingua di Cicerone, rimpiazzato dallo studio della sociologia a partire dal giugno 2020. Una grande indignazione ha pervaso i sostenitori della cultura classica dalla scuola superiore all’università, all’unisono con i colleghi della culla della civiltà occidentale, che hanno lanciato una petizione on line a salvaguardia della “mater lingua” del Mediterraneo.



Da noi, negli ultimi anni, si sono presi vari provvedimenti su più livelli per scongiurare potenziali interventi a danno dell’istruzione classica, dopo il taglio delle ore della riforma Gelmini.

In questo dibattito ricco di pubblicazioni in Italia, emerge un interessante saggio di Andrea Dal Ponte, Per le nostre radici. Carta d’identità del latino (Aracne 2018). In un’intervista pubblicata da Letture.org il docente di greco e latino in un liceo genovese dice: “Come popolo non ce ne rendiamo quasi mai conto, ma la nostra nazione galleggia non dico su un mare, ma su un oceano di petrolio culturale che alimenta silenziosamente la nostra vita quotidiana, a tutti i livelli. Questo petrolio è il latino, è la civiltà romana, è – per dirla in sintesi con un termine onnicomprensivo – la Latinitas. Più stupefacente ancora è il fatto che dal bacino centrale gravitante su Roma si diramano canali che raggiungono e nutrono i cinque continenti”.



La lettura è avvincente per uno stile vivace ed elegante di un testo ben documentato che va oltre i confini del mero pamphlet: assai gustosa la polemica, ripresa nell’Introduzione,  con il professor Maurizio Bettini sul concetto di identità e alterità di una civiltà come la nostra occidentale che ha le sue radici nella cultura greca e romana.  Ma si rinvia alla lettura del testo…

Rimane infine esemplare la trovata dal sapore mondiale di un celebre matematico, Giuseppe Peano, il quale nel 1903 ideò Latino sine flexione, per favorire, con un latino senza declinazioni, la comunicazione scientifica internazionale tra studiosi di lingue diverse e complicate (come ad esempio quella cinese o russa). Fu un successo effimero e, con la morte del suo creatore nel 1932, decadde, perché l’inglese divenne, gradualmente, la lingua franca della scienza fino ai nostri giorni.

Rimane da capire quale destino attende il latino nel nostro Paese.