Dopo un inizio d’anno pienamente “normale”, con circa 88mila posti vacanti, fra 32.217 cattedre non assegnate ai ruoli e altri 56.564 posti liberi per supplenze tra deroghe sul sostegno e organico di fatto, continuano le convocazioni del concorso 2018, con assegnazione su ambiti le cui disponibilità non saranno coperte perché il contingente autorizzato dal ministero dell’Economia a luglio 2018, come sempre accade, non corrisponde alle disponibilità effettive.



Nel frattempo i convocati del concorso hanno accettato, fino ad oggi, ruoli su ambiti territoriali senza titolarità di scuola, in un quadro che certamente muterà, con la possibile scomparsa degli ambiti stessi, ma essendo informati che l’incardinamento sull’ambito resterà, e non sarà superato da eventuali variazioni.



Il che potrebbe significare che i non convocati del concorso 2018, o da Gae residue, o i futuri candidati del concorso ordinario annunciato dal ministro Bussetti per il 2019, potrebbero essere baciati dalla fortuna del revisionismo del Miur che, proseguendo nell’operazione di smantellamento della “Buona Scuola”, propone abolizione del Fit (che invece a settembre 2019 dovrebbe avviarsi proprio per i neoassunti del concorso 2018 convocati in questi giorni e nei successivi) e l’istituzione di soli concorsi ordinari per l’entrata in ruolo. Senza i 24 Cfu e i tre anni di Fit si tornerebbe alle procedure che la scuola già conosce.



Ed allora si capisce la pressione della Cgil, che nelle trattative in corso per il rinnovo del contratto di lavoro chiede una fase di transizione dove la sola abilitazione permetta l’accesso al ruolo, e lo stesso per i non abilitati con tre anni di servizio, per cui prevedere un concorso abilitante riservato. Il tutto dovrebbe consentire secondo il sindacato sia la valorizzazione delle risorse presenti nella scuola, sia il regolare avvio dell’anno scolastico, dopodiché si procederà per concorsi dove la titolarità sarà su scuola e non più su ambiti. Non vi sono vincoli di permanenza in questa proposta, vincoli che invece sussisterebbero nelle intenzioni del ministro Bussetti, per un minimo di tre/ cinque anni.

Il tutto, riformulato senza il burocratichese dell’amministrazione statale, dovrebbe significare che se i colloqui che sono in corso fra sindacati e Miur andranno a buon fine (e si può immaginare che lo faranno, visto che la ricerca di consensi è un imperativo per l’attuale governo non meno di quanto non lo fu per i precedenti), ci si può aspettare che il ministro Bussetti accetterà di inserire alcuni step intermedi nella sua razionalizzazione revisionista delle procedure di assunzione. Dopotutto il governo a cui egli stesso fa riferimento ha appena approvato con la fiducia una legge di bilancio alla Camera senza i due provvedimenti più significativi, reddito di cittadinanza e pensioni, in attesa di rivedere il tutto al Senato; che sarà mai una breve fase transitoria che porti all’assunzione in massa di tutti i precari presenti nella scuola?

L’aspetto più interessante della proposta della Cgil sta proprio nel fatto che non si parla di disponibilità reali nella fase di transizione ma di assunzioni tout court. Se fosse una multinazionale il ragionamento sarebbe più o meno il seguente: ho lavorato come stagista per un anno presso la vostra sede di Pinerolo, quindi a fine stage sarò assunto presso la suddetta sede a tempo indeterminato. In ogni caso. E sicuramente a Pinerolo. Non è proprio la realtà che un giovane alla ricerca di occupazione si trovi oggi ad affrontare.

Sarà forse per questa magica capacità della scuola di assorbire sempre e comunque tutte le forze che vengono in essa impiegate che i docenti, per la stragrande maggioranza donne e pertanto, nella logica di mercato del lavoro ancora vigente in Italia, più in difficoltà nel trovare un lavoro che magari permetta loro e alle loro famiglie una serena conduzione della vita familiare, accettano e anzi reclamano il diritto al posto fisso, senza curarsi delle difficoltà del sistema?

Tale atteggiamento, comprensibile dal punto di vista individuale, non appare consono né per il sindacalista né per il legislatore, che dovrebbero, pur a prezzo di incomprensioni e ostilità, ricercare un quadro normativo innovativo. A partire dall’unico dato che permetta un riequilibrio del sistema: la scuola è un servizio agli studenti. Il primo dato è la necessità di docenti per gli studenti. Non si tratta di disponibilità di cattedre, ma di necessità di ulteriori docenti, una differenza di linguaggio che apre le porte alla mappatura su base se non per ambito, per zone geografiche molto, molto limitate, ad es. attivando le reti di scuole già presenti nel territorio, o addirittura la singola necessità della scuola, leggasi “chiamata diretta”.

La chiamata diretta, così come la Asl, è stata abolita o rivista in nome degli errori compiuti nella sua attuazione (per lo più favoritismi, selezione per conoscenze e familismi di vario tipo). Ottima giustificazione — quella dello scandalo determinato da un uso improprio di uno strumento in sé legittimo e potenzialmente risolutivo dei bisogni reali di una scuola in tempo reale, magari in accordo con altre — per far fuori lo strumento stesso e tornare al rassicurante, collaudato carrozzone del “concorsone”.