E così il contratto collettivo nazionale del comparto scuola è stato firmato dopo più di un decennio di mancato rinnovo. Il governo si dice soddisfatto e i sindacati divisi. Dopo settimane di polemiche che avevano imputato al Governo il tentativo di aumentare le ore di lavoro degli insegnanti a fronte di quel che, a quel punto, sarebbe stato un finto aumento degli stipendi. La versione ultima del contratto ha fatto dietro front rispetto all’aumento delle ore e riconosce un aumento che si aggira in media al 3,48 per cento favorendo i salari più bassi.



Eppure la firma del contratto smentisce le previsioni di chi, anche dalle pagine di questo quotidiano, lo aveva considerato impopolare per il Pd e ipotizzava una firma post-elettorale. Evidentemente a questa previsione è sfuggito qualcosa. Forse la prospettiva, il frame, entro il quale il Governo, ben consapevole del dissenso dirompente che il mondo della scuola ha espresso dopo la legge 107 — peraltro discutibile —, ha posto la trattativa soprattutto con i sindacati confederati. I quali, già mesi fa, nelle poche assemblee sindacali che trasmettevano il solito appello al necessario rispetto della professione insegnante e Ata, facevano passare però un messaggio chiaro: la contrattazione non può non chiudersi. E alla fine si è chiusa con un effetto gradimento per il dietrofront sull’aumento delle ore… Qual è la prospettiva sfuggita a certe previsioni? Il successo del poter dire: ecco, noi, e solo noi, abbiamo rinnovato il contratto (i contratti, se si pensa anche ai Vigili del Fuoco, ecc.) dopo più di un decennio.



Pace fatta! Ciò a vantaggio del consenso per la sfida elettorale e della serenità che i sindacati vorranno concedere sui tre concorsi alle porte: dirigenti scolastici, concorso a cattedra per abilitati e… imminente Fit.

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