Scriveva La Rochefoucauld (Francia, XVII secolo) che l’ipocrisia è un omaggio che il vizio rende alla virtù. Se avessero ricordato o conosciuto questa massima, i licei classici del centro di alcune grandi città italiane (Roma, Genova, Milano) si sarebbero evitati la piccola bufera mediatica che li ha investiti.
Pare infatti che qualcuno si sia dato la pena di leggere i loro Rapporti di autovalutazione (i Rav non hanno peraltro una funzione autopromozionale, come in qualche fake news è stato scritto) e che abbia scoperto che alla voce che chiedeva un’analisi della popolazione studentesca gli estensori del documento abbiano scritto in tono, questo sì autopromozionale, che la loro utenza è scevra da elementi socialmente, etnicamente e pertanto culturalmente spuri, il che sarebbe sicura garanzia della possibilità di ottimi apprendimenti. Scandalo, dichiarazioni di fuoco, precisazioni e ritrattamenti… manca solo che il tema entri in campagna elettorale e sarebbe la sola volta in cui vi si parla di scuola!
Perché ipocrisia? Dalla prima indagine Pisa senza eccezioni fino ad oggi (6 edizioni) risulta chiaramente dai dati che le diverse tipologie di scuola superiore italiana (dai licei ai centri di formazione professionale) sono caratterizzate da una segregazione e da una gerarchizzazione sociale quasi totale. Le scuole del Nord si differenziano da quelle del Sud per il livello medio degli apprendimenti delle loro popolazioni, non per le caratteristiche della loro composizione sociale. Anche se i resilienti, cioè coloro che raggiungono livelli superiori a quelli medi dei coetanei di pari provenienza, sono più numerosi al Nord che al Sud. Poca cosa, comunque, e così è del resto in quasi tutti i paesi più avanzati economicamente. Fanno in parte eccezione quelli in cui vige il precoce (a 11 anni) sistema di canalizzazione dei paesi di cultura tedesca, in cui anche in filiere a frequentazione socioeconomica medio-bassa sono rilevate presenze non marginali di allievi con livelli di apprendimenti buoni.
Allora questi licei hanno avuto la colpa di dire spudoratamente, in modo semplicistico ed ingenuo, ciò che è sotto gli occhi di tutti e nelle carte di chi voglia leggerle. E di vantarsene anche.
Certo, in un certo senso è un segnale positivo che qualcuno abbia cominciato ad occuparsi dei Rav che dovrebbero essere di interesse per tutti, soprattutto per le famiglie. Evidentemente questi licei non l’avevano previsto, non pensavano che questo documento, visto magari come un fastidioso e superfluo adempimento, potesse attirare l’attenzione di qualcuno. Vuol dire che l’operazione del Servizio Nazionale di Valutazione, che parte appunto dalla compilazione del Rav da parte delle scuole, sta cominciando ad entrare sia pure molto lentamente nella consapevolezza del paese.
Ma c’è modo e modo di dire le cose. E la principale competenza che i licei, soprattutto classici, dovrebbero possedere ed insegnare è quella di dirle in modo adeguato al contesto ed alle finalità che ci si propone. Potrebbe essere utile una rilettura di un vecchio libro del 1963, La semantica dell’eufemismo; il testo criticava l’uso autocensorio di questa pratica linguistica, ma i tempi sono davvero cambiati e forse è il caso di ripensarci.
In conclusione, qui il problema non è che in Italia, come ovunque, ci siano delle élites e che sia necessario formarle, ma che questi licei siano davvero in grado di farlo.