Nei primi 45 giorni del 2018 ci sono state sparatorie in 19 scuole statunitensi. Un pazzesco far west con 22 morti. I dati sono dell’Everytown for Gun Safety. Negli ultimi cinque anni, le sparatorie a scuola sono state, incredibile, 273 (praticamente una alla settimana), con 121 morti e 318 feriti. Negli Usa, si dirà, c’è la pistola facile, ed è vero. Ma nell’elenco delle stragi compiute a scuola negli ultimi anni non mancano, per esempio, Regno Unito e Germania, e persino la Finlandia.



Veniamo a noi. Nei primi 45 giorni del 2018, in Italia ci sono stati numerosi episodi di violento bullismo scolastico e para-scolastico e almeno 5 casi gravi di aggressioni contro i professori compiute da studenti o genitori. Il prof di educazione fisica di Avola è finito all’ospedale con le costole rotte dai pugni e calci dei genitori di un alunno rimproverato. La prof del casertano s’è presa una coltellata in faccia da un 17enne furibondo per una nota sul registro. Trenta giorni di prognosi al vicepreside di Foggia, per trauma cranico, rottura del setto nasale e lesioni all’addome provocate da un babbo indignato per il rimprovero ricevuto dal figlio. Una prof di prima media ha ricevuto un pugno in faccia da un suo alunno. Un’altra prof è stata presa d’assalto a colpi di chewing-gum nei capelli.



Qualcuno dirà: d’accordo, brutte cose, ma niente a che vedere con l’America. Vero, se la mettiamo sul lato delle pistole in classe. Qui a scuola con la pistola in tasca – che si sappia – non ci si va. Ma se la mettiamo sul lato delle persone violente, adolescenti o paparini che siano, è possibile riconoscere nei ragazzi disagiati e violenti dei vuoti fragilissimi imbottiti di rabbia, in tutto o in parte ineducati a riconoscere il valore dell’autorevolezza.

La prima risposta che viene in mente d’istinto è quella diciamo così disciplinare-repressiva: basta buonismi, perdiana, il reo va punito, che impari a comportarsi e che sia di monito anche agli altri. Regole e legalità vanno fatte rispettare. Ragazzi e soprattutto genitori. Chi pensa così, non ha tutti i torti.



Però non basta. Non siamo neanche a metà strada. La scuola, come la famiglia, hanno il compito di educare, tirar su persone che imparino a stare da uomini nella realtà, non possono né proteggere dei vuoti a perdere né gettare la spugna. Stare nella realtà comporta anche imparare a vivere il limite, la sconfitta, il dolore, l’insuccesso, l’esistenza stessa dell’altro, come una condizione dell’umano e non come la prova del proprio fallimento e della propria nullità. Ci interrogano i vuoti pieni di rabbia che non sanno sentire il proprio io se non facendo violenza agli altri. Come ci interrogano i vuoti pieni di disperazione che si suicidano per un brutto voto. Il mito dell’autosufficienza e dell’autodeterminazione dell’individuo, che è il dogma (anche inconsapevole) del nostro tempo, ci può portare a simili tornanti pericolosi, oltre che alla mediocre, normale malinconia di un quotidiano opprimente mal sopportato. Dico di noi adulti. Occorre ridestare l’umano, cioè ultimamente il senso religioso. Perché l’uomo dipende, non ce n’è di balle. E i ragazzi, o li metti in riga con la paura del castigo (auguri!), o gli testimoni che è possibile l’esperienza della bellezza e della positività ultima della realtà.

Qui nessuno ha la ricetta, figuriamoci. Tuttavia, se ci si mette su questa traiettoria, ci possono intessere dialoghi, collaborazioni e alleanze invece che palleggiarsi colpe e responsabilità. Prima fra tutte, l’alleanza tra insegnanti e genitori, orrendamente sfigurata nel tedio formalistico di assemblee di condominio fatte a scuola e poi da genitori sindacalisti dei figli. I quali genitori avrebbero da ricercare e riguadagnare una propria reale autorevolezza, nel senso di ciò che fa crescere, rispetto ai propri figli, e così aiutare a riconoscere l’autorevolezza altrui.

Nel frattempo, meno pistole girano e meglio è per tutti. Di Luca Traini, ahimè, non ce n’è uno solo in circolazione.