L’alternanza scuola lavoro partita in sordina e come al solito tra mille problemi sta diventando e sempre più diventerà, per come è configurata, un’attività di grande impatto sui normali assetti scolastici. La legge 107/2015 (Buona Scuola) ha incrementato, come si sa, l’alternanza, prevedendone negli ultimi tre anni della scuola superiore l’obbligatorietà e l’estensione oraria fino ad almeno 400 ore per gli istituiti tecnici e professionali e a 200 ore per i licei. La prima novità è che il mondo della scuola è tenuto a dialogare con il mondo dell’impresa. Il rapporto si svolge in convenzione ed è attivo per questo scopo, da un paio di anni, il Registro nazionale, a cui si devono iscrivere le imprese, i professionisti, gli enti pubblici e privati disponibili ad accogliere studenti. Le scuole potranno scegliere tra le disponibilità indicate, sulla base di progetti liberamente formulati e inseriti nei piani dell’offerta formativa. Le imprese dovranno possedere precisi requisiti nel momento in cui si aprono ad accogliere studenti: capacità strutturali, tecnologiche e organizzative. E non è poco. Le scuole, a loro volta, dovranno soddisfare le finalità formative e non professionalizzanti dell’alternanza che, è specificato nelle carte, si propone di attuare modalità di apprendimento che colleghino sistematicamente la formazione in aula con l’esperienza pratica. 



La sfida culturale che sottende l’alternanza, comunque è quella di rendere il lavoro una forma di cultura che metta in moto la manualità e la progettualità di chi lo esercita. In questo senso l’alternanza non è né di destra né di sinistra. È una conquista affidata all’intelligenza dei diversi operatori, come tale continuamente minata dal rischio delle procedure a cui costringe la prassi burocratica ministeriale quando reclama carte, monitoraggi, valutazioni formali. L’alternanza è anche e soprattutto racconto. E in questo senso, opportunamente, la piattaforma ministeriale “alternanza scuola lavoro” raccoglie a tutt’oggi le storie di un’ottantina di progetti svolti: dall’istituto tecnico industriale che si implica con le imprese tessili del biellese, al liceo calabrese che si affianca ad un pool di musei a vocazione turistica; dai licei friulani che collaborano con l’università in un progetto sul controllo delle emozioni, agli istituti tecnici salentini che si immergono in ricerche sull’origine di un’antica dimora storica. 



La pubblicazione recente della “Carta dei diritti e dei doveri delle studentesse e degli studenti in alternanza” chiarisce un altro aspetto dell’attività, questo davvero determinante e in prospettiva dirompente. Nasce lo studente che si forma fuori della scuola e che, per tali ragioni, cioè in virtù del fatto che l’alternanza si svolge in un luogo di lavoro ed è possibile anche all’estero e durante la sospensione dell’attività didattica, è soggetto e oggetto della propria educazione. Sì, d’accordo, l’istituzione scolastica che detiene la prima e ultima responsabilità sugli studenti inviati all’alternanza è tenuta ad affiancarli con l’insegnante tutor/referente. E anche la struttura ospitante designerà un tutor. Nulla vieta però di supporre che gli studenti godano anche di una certa autonomia, sia durante lo svolgimento delle operazioni, sia all’atto di svolgere l’autovalutazione conclusiva (“gli studenti hanno diritto di esprimere una valutazione sull’efficacia e sulla coerenza del percorso effettuato”). 



Non si spiega altrimenti il patto formativo che lo studente dovrà firmare prima di essere inserito nell’azienda o ente prescelto dalla scuola. Il documento da sottoscrivere proietta lo studente in un contesto in cui sono vigenti vincoli particolari, estranei al normale insegnamento. Lo studente, dice il patto, dovrà conoscere le norme comportamentali previste dal contratto di lavoro nazionale. Inoltre, e questa è certamente la parte più indicativa di un orientamento verso una formazione extrascolastica, dovrà ricevere una formazione generale in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Infatti, spiega la Carta dei diritti e dei doveri, gli studenti sono assegnati e distribuiti nell’azienda anche in ragione della tipologia di rischio che la struttura ospitante comporta: basso, medio o alto. È in questa ottica che gli studenti impegnati dovranno essere tutelati anche sul versante assicurativo. Insomma, il profilo dello studente disegnato dall’alternanza presenta fattori di individualizzazione e personalizzazione degli apprendimenti, compreso il capitolo sicurezza sul lavoro, che forse non sono stati ancora adeguatamente approfonditi. 

Sarà bene farlo in vista della nuova maturità che entrerà in vigore l’anno prossimo, in cui al posto della famosa “tesina” sarà l’alternanza a giocare il ruolo di carta d’identità dello studente che si presenta al colloquio. Svolta interessante se, come sempre, anche nel modo di recepire le esperienze da parte della commissione non prevarrà la forma sulla sostanza.