In un articolo apparso su lavoce.info il 16 gennaio 2018, i professori Daniele Checchi e Maria de Paola hanno proposto un’interpretazione economica del calo di iscritti nelle scuole paritarie tra il 2012/13 e il 2015/16. Secondo gli autori, un tale calo non sarebbe da imputarsi a ragioni legate al finanziamento pubblico dell’offerta, perché le (poche) risorse statali destinate a queste scuole sono state stabili nel periodo. La minore attrattiva di queste scuole sarebbe invece dovuta, utilizzando le parole degli autori, “ad un posizionamento agli estremi della distribuzione degli studenti per livelli di abilità: nella parte alta, dove famiglie facoltose vogliono assicurare ai propri rampolli una formazione e un network di ‘qualità’ (…) oppure nella parte bassa, dove le famiglie che possono permetterselo ‘comprano’ per i propri figli titoli di studio dai cosiddetti diplomifici“. 



In altre parole, le scuole private avrebbero scelto di diventare o istituti di élite per famiglie ricche, o ambiti eticamente discutibili in cui le famiglie acquistano i titoli di studio senza che avvenga veramente alcun processo educativo. Pertanto, avrebbero così ridotto la propria attrattività e sarebbero destinate ad un calo di iscrizioni, già evidentemente in atto. 



Certamente, la (presunta) “crisi” delle scuole paritarie è un fenomeno significativo, ben descritto dall’analisi dell’Istat commentata dagli autori, e con ricadute importanti sullo sviluppo del nostro sistema educativo e della nostra società. L’articolo ha il pregio di proporne alcune interessati interpretazioni. A mio parere, tuttavia, vi sono due fattori trascurati dall’analisi i quali, invece, meritano una attenzione particolare. 

In primo luogo, i redditi disponibili delle famiglie hanno sofferto gli effetti della crisi economica. I dati riportati dall’Istat nel suo bollettino “Condizioni di vita, reddito e carico fiscale delle famiglie” (6 dicembre 2017) mostrano come il reddito famigliare nel 2015 fosse inferiore del 10% rispetto a quello del 2003. Nel principale periodo considerato nell’articolo de lavoce.info, il reddito è calato di quasi il 2,5% tra il 2012 e il 2014, per riportarsi al livello del 2012 solo nel 2015. Il Report di Istat mette in luce come le situazioni di particolare difficoltà siano state registrate soprattutto per le famiglie numerose, con più figli in età scolare. È probabile che, come conseguenza della contrazione del reddito disponibile, molte famiglie della classe media abbiano deciso di risparmiare i propri investimenti in istruzione, approfittando del fatto che nel nostro sistema scolastico vi è una disparità nei prezzi d’accesso legata alla gratuità della sola istruzione statale. Se a questo si aggiunge la riduzione delle risorse regionali a disposizione della libertà di scelta delle famiglie (si pensi al ridimensionamento del buono scuola in Lombardia), ecco spiegata una parte significativa della conseguente riduzione della domanda di istruzione pubblica paritaria (non gratuita).



Inoltre, le scuole paritarie subiscono da tempo una sorta di “concorrenza sleale” da parte delle istituzioni statali in un ambito cruciale, quello del reclutamento dei docenti. Lo Stato ha, infatti, posto un insieme di regole (abilitazione e posto fisso garantito) che influenza la decisione degli insegnanti, orientandola verso una convenienza a ricercare il ruolo nelle scuole statali. La fuga degli insegnanti dalle scuole paritarie, favorita anche dalle recenti discutibili immissioni in ruolo di massa (seguenti alla legge della “Buona Scuola”), ha messo a dura prova la capacità delle stesse di far fronte all’offerta didattica con personale qualificato. In questo modo, le scuole paritarie si trovano a dover assumere sempre più insegnanti giovani — fungendo, di fatto, da “palestra” per le scuole statali — senza riuscire a garantire loro una stabilità di lungo periodo. Il fenomeno riduce uno dei “vantaggi competitivi” che hanno tradizionalmente caratterizzato le scuole paritarie, ossia la continuità del personale docente, che ovviamente è sempre stata ben valutata dai genitori. 

Per poter davvero verificare se le scuole pubbliche paritarie stiano davvero soffrendo di una crisi dovuta alle loro scelte di posizionamento nel “mercato” dell’istruzione, sarebbe dunque necessario creare i presupposti affinché esse possano esercitare la propria autonomia di reclutamento e gestione del personale, e introdurre strumenti economici che consentano alle famiglie di accedere a tali scuole a parità di condizioni economiche (ossia, gratuitamente), quali vouchers, tax credits, finanziamenti diretti alle scuole. In questo modo si realizzerebbe anche quella piena parità scolastica che per ora rimane — purtroppo — solo sulla carta. A mio parere, questo dovrebbe essere un tema centrale nell’agenda del prossimo Governo.