Il nuovo contratto dei docenti non è ancora stato siglato, ma i rumors legati alle bozze che girano in rete già accendono gli animi, perché pare che in esso sia presente una norma vincolante per i docenti che recita: “l’interazione a mezzo dei canali sociali informatici con gli studenti (…) dovrà limitare la comunicazione digitale alle sole informazioni di servizio… gli abusi possono essere sanzionati dal Dirigente scolastico”. Apriti cielo! Molti parlano di limitata libertà dei docenti, di un bavaglio messo alla libera espressione, di un accentuato potere sanzionatorio dei presidi e via dicendo. Sarà proprio così?
Proviamo ad analizzare il problema da un punto di vista di deontologia professionale e non nella logica di un contratto che indica linee di comportamento definite. Quale deve essere il rapporto tra allievo e docente? Esso in verità è implicito già nell’etimologia del suo sinonimo “insegnante”, che significa in-signo, imprimo segni nella mente dello studente, formo la sua anima. Ciò significa che all’allievo non trasmettiamo solo informazioni, conoscenze relative a una specifica disciplina, ma con lui abbiamo una relazione che forma e arricchisce entrambi in uno scambio di opinioni, di confronto di visioni anche diverse della vita, che cercano di individuare ciò che di bene o di male o di innovativo c’è in una nuova teoria scientifica, filosofica, letteraria.
Anche l’insegnamento della matematica, che apparentemente può influenzare meno la vita spirituale dell’alunno rispetto alla canonica disciplina filosofica o letteraria (perché ci si relaziona solo attraverso i numeri) può invece avere una significativa valenza spirituale. Attraverso “la solitudine dei numeri” il docente può aiutare il ragazzo a non scoraggiarsi nell’affrontare le difficoltà, a insegnargli che la montagna si conquista a piccoli passi e che in una salita faticosa c’è alla fine la bellezza della conquista. È la personalità del prof che fa la differenza, non solo nel far amare la propria materia, ma anche nella costruzione di una relazione personale corale con gli studenti. Chi di noi non ricorda in età adulta il docente che gli ha trasmesso maggiori emozioni nel leggere una poesia, che lo ha fatto riflettere su aspetti diversi del problema che stava affrontando in quel momento, esistenziale, amoroso, familiare, amicale…
Questa relazione deve avvenire in classe, che è un laboratorio di vita dove spesso emergono le fragilità dell’alunno, che cerca nell’autorevolezza e nell’esperienza del docente una guida per un costrutto positivo del proprio sé. A volte non si è della stessa opinione? Non fa niente: la diversità fa crescere, importante è imparare a motivare la propria opinione, a costruire un pensiero critico, che porterà il futuro cittadino a pensare con la propria testa e a guardare la realtà da tante angolature diverse, non a essere solo un individuo che si può imbottire di slogan o di messaggi più o meno occulti.
Allora, si potrà obiettare, siamo ancora in una visione antica della scuola. Rifiutiamo in blocco il digitale, le nuove modalità comunicative social, la bellezza dei tanti like che ci gratificano? Ma nel momento in cui ho cliccato like quale relazione ho creato con la persona? Una fugace approvazione che non mi porta ad approfondire nessun messaggio. Quali informazioni scolastiche passano attraverso Whatsapp o Facebook? Comunicazioni di servizio? C’è il registro elettronico per questo: l’informazione del rinvio di una verifica, l’avviso anticipato di un’uscita il giorno dopo, la programmazione di una visita guidata, veloce e sicura, visibile a tutti, anche ai genitori, arriva immediatamente. Può essere utile Whatsapp durante una gita scolastica, perché tutti siamo collegati in una chat che è di servizio, e tale deve rimanere successivamente.
Il rapporto tra docente e allievo deve avere dei confini precisi, come quello tra genitori e figli. Non si possono avere atteggiamenti amicali con i propri studenti, come non si può essere amici dei propri figli, perché chi educa deve tracciare confini, paletti che facciano comprendere ciò che è lecito o non lecito fare, ciò che è proprio diritto e ciò che è proprio dovere.
Questi confini, soprattutto nel periodo adolescenziale, oggi non sono più chiari, perché spesso i genitori non sanno dire i “no” al momento opportuno e ciò disabitua il ragazzo ad affrontare frustrazioni, ma anche a porsi obiettivi che deve raggiungere con l’impegno e lo studio. I ragazzi spesso affermano solo i loro diritti, ma dimenticano che ci sono anche doveri, che ti fanno diventare uomo/donna. Di qui la fragilità degli adolescenti e l’aumentare delle crisi di ansia, di panico ogni qualvolta un ostacolo si pone sulla propria strada.
La scuola, dunque, non può essere altra da se stessa, cioè un pianeta in cui si cresce con delle regole chiare condivise da tutti. Deve essere l’àncora che cerca di arginare la deriva educativa di questi tempi. Perciò non è auspicabile che il docente dia l’amicizia, sebbene anche solo virtuale, ai propri allievi o condivida con loro opinioni sulla vita scolastica o giudizi sui propri colleghi. Si crea il rischio che i ruoli siano confusi e che il docente travalichi il proprio. La scuola di oggi non è più quella di ieri, cambiano metodologie, strumenti, conoscenze e questo è giusto, ma il rapporto allievo-docente deve rimanere nel tracciato maieutico socratico; difficile che questo accada in un contesto virtuale.
In tutto ciò, cosa pensare dalla figura sanzionatoria del preside? Di nuovo, da parte sindacale, si alza lo spauracchio di un accresciuto potere del dirigente. Ma il preside, oberato di lavoro amministrativo, progettuale, relazionale con genitori, allievi e docenti, perso tra Pon e Rav, dove lo trova il tempo di andare a controllare il profilo Facebook di 120-140 insegnanti, perché tali sono i numeri dei nostri collegi docenti?
Quando un insegnante viene richiamato a una maggiore etica deontologica è quasi sempre perché il suo comportamento è stato segnalato dai genitori dei suoi allievi, che hanno trovato eccessivo un particolare commento sulla vita della scuola. Segno che, ancora una volta, la giusta collaborazione tra tutte le componenti della vita della comunità scolastica può fare la differenza nella costruzione di una comunità veramente educante rispetto a una mera norma pattizia.