Ho letto con grande interesse l’intervento di Tommaso Agasisti pubblicato dal sussidiario sotto il titolo “Paritarie, tra élite e diplomifici c’è di mezzo la concorrenza sleale dello Stato”. Nel suo articolo, Agasisti si sofferma sulla crisi di domanda di istruzione pubblica paritaria, indicando due fattori che ne possono spiegare le ragioni: da un lato “la disparità nei prezzi d’accesso legata alla gratuità della sola istruzione statale”, particolarmente influente in anni di contrazione del reddito disponibile, soprattutto per le famiglie con più figli in età scolare. Dall’altro “la fuga degli insegnanti dalle scuole paritarie”, frutto di quella che Agasisti definisce una “concorrenza sleale” da parte delle scuole statali nell’ambito del reclutamento dei docenti, che sarebbero orientati a ricercare il ruolo nelle statali in virtù di norme riassumibili nel percorso abilitazione, assunzione, posto fisso garantito. Per realizzare una “piena parità scolastica”, conclude Agasisti, le scuole paritarie dovrebbero essere messe in condizione di “esercitare la propria autonomia di reclutamento e gestione del personale” e andrebbero introdotti strumenti “che consentano alle famiglie di accedere a tali scuole a parità di condizioni economiche (ossia, gratuitamente)”.



L’assunto di fondo mi trova concorde. La piena parità scolastica deve essere un obiettivo del nostro Paese, perché non potrebbe che tradursi in un’offerta formativa più ampia e articolata, rispettosa della libertà di insegnamento garantita dalla Costituzione e, specularmente, delle scelte educative delle famiglie. Inoltre, se opportunamente regolata e fatta oggetto di una valutazione di sistema ampia ed efficiente, la parità potrebbe favorire un innalzamento complessivo dei livelli qualitativi del sistema di istruzione e formazione, anche attraverso alcune dinamiche di concorrenza tra istituzioni scolastiche (soprattutto nel secondo ciclo). È tuttavia mia convinzione che occorra completare il ragionamento di Agasisti con alcune ulteriori osservazioni legate ai temi dell’autonomia scolastica.



La “concorrenza sleale” di cui parla Agasisti non è a senso unico: esistono almeno due elementi normativi che vincolano le scuole statali a una condizione di svantaggio rispetto alle paritarie, sul piano essenziale della governance e della definizione delle proprie scelte organizzative e didattiche. 

Il primo attiene alla struttura di gestione delle scuole statali. Mentre nel mondo delle paritarie esiste una distinzione chiara tra responsabilità amministrative e gestione didattica, con le prime affidate a un ente gestore e le seconde a un coordinatore didattico, nella scuola statale questi compiti restano unitariamente in capo al dirigente scolastico. È esperienza comune di chi conosce a fondo le nostre scuole statali la mole straordinaria di responsabilità e adempimenti oggi affidati ai dirigenti scolastici, cui sono richieste competenze molteplici di leadership educativa, gestione del personale, amministrazione, progettazione a medio e lungo termine, capacità di fare rete e muoversi su più piani istituzionali. Ciò a fronte di un profilo professionale spesso incompleto in quanto i dirigenti, provenendo dal ruolo docente, hanno competenze educative e didattiche di norma ben salde ma spesso non padroneggiano con altrettanta profondità la sfera delle competenze gestionali e amministrative.



La figura del dirigente scolastico finisce così spesso soffocata dall’eccesso di complessità e dalla limitata autonomia decisionale, costretta a muoversi nello spazio angusto delimitato da normative stratificate e non sempre coerenti, direttive e circolari ministeriali, competenze degli organi collegiali: una condizione che comprime la capacità delle scuole statali di rispondere alle mutevoli esigenze di contesto con tempi e modalità adeguate, costringendole spesso a restare un passo indietro rispetto alle più resilienti scuole paritarie. Se si vuole che scuole statali e scuole paritarie possano competere ad armi pari sul piano delle modalità di gestione, occorre quindi una revisione profonda della governance delle scuole statali. Questa potrebbe andare o nella direzione di restituire spazio alla leadership educativa del dirigente scolastico, sgravandolo delle competenze gestionali; oppure potrebbe prevedere un rafforzamento delle figure di middle management che affianchino il dirigente scolastico tanto nella gestione amministrativa quanto in quella didattica, attraverso l’introduzione di opportune forme di carriera per i docenti.

Il secondo punto di svantaggio delle scuole statali attiene al tema delle modalità di scelta dei docenti: se è certo vero che le attuali condizioni normative e contrattuali spingono i docenti verso la scuola statale piuttosto che verso le paritarie (anche per la diversa consistenza delle retribuzioni), è altrettanto vero che nello Stato continua a essere ampiamente prevalente, nonostante alcuni aggiustamenti introdotti dalla legge 107/2015, il meccanismo per cui sono i docenti a scegliere la propria sede di lavoro e non le scuole a individuare i docenti. Ciò in concreto si traduce nell’obbligo, per tante scuole statali, di fare nozze coi fichi secchi, ovvero mettere in campo offerte formative non all’altezza della domanda perché drammaticamente condizionate dalla presenza, negli organici, di docenti che si trovano in quella data scuola non perché ne condividono visione educativa e progetto formativo, ma solo per ragioni di praticità pratica e (legittima) convenienza personale. 

È evidente, insomma, che proprio come la parità, anche l’autonomia resta ancora una splendida incompiuta del nostro sistema di istruzione e formazione. Non si tratta qui di confrontare opposti cahiers de doléances, nel tentativo di strappare qualche concessione in più al decisore politico. Piuttosto, si tratta di prendere coscienza di una convergenza di temi ed esigenze, da portare avanti nel quadro di una visione ampia e comune. Autonomia e parità scolastica sono legate l’una all’altra in una reciprocità di connessioni che occorre tenere sempre presente: come non può esserci piena autonomia senza vera parità, non potrà esserci vera parità senza liberare l’autonomia delle scuole statali.