Fa scandalo la notizia che all’ultimo concorso, in Friuli Venezia Giulia, i tre quarti degli aspiranti insegnanti di scuola dell’infanzia siano stati bocciati per aver riempito i temi d’esame di errori ortografici: acca scomparse, doppie pure (“La strutura è importante; ma lo è di più la didatica” scriveva uno di questi; oppure “un’evento”, “aquistato”, “disciendente”, “il bambino a bisogno di…” e mille altri divertentissime amenità ortografiche, riportate dai giornali). Del congiuntivo, della consecutio temporum e di altre competenze prerogativa ormai di una minoranza risicatissima, meglio non parlare. Così che vediamo oggi commissari, dirigenti scolastici, opinionisti, professori mettersi le mani dei capelli e sospirare: ma come siamo ridotti… 



A me, sinceramente, fa più scandalo lo scandalo. Chiedo scusa: ma questi candidati al concorso per l’insegnamento analfabeti dove sono stati fino ad ora? Io lo so: alla scuola primaria, poi media, poi superiore e infine all’università; almeno sedici/diciotto anni di scuola. E nessuno si era accorto che non sapevano l’ortografia? E tutti li hanno lasciati passare? 



A questo punto la bocciatura al concorso è una buona notizia; c’è almeno un momento in cui qualcuno li ha messi di fronte alla loro ignoranza, cacciandoli. Ma non si creda con questo che ritenga colpevoli gli insegnanti che li hanno promossi; conosco bene la situazione, sono insegnante di scuola primaria e ho anch’io, come tutti, alunni che non hanno imparato bene l’ortografia. Le ho provate di tutte: metodi, ripetizioni, verifiche, strumenti personalizzati e facilitatori, ma qualcuno continua a ignorare l’ortografia. Dunque, che altro si può fare? Non è possibile fermare questi alunni, l’ortografia carente non era più un motivo sufficiente finché erano bambini, ma ora neppure più alle scuole medie e assai poco al liceo.



Potrebbero ancora filtrare gli analfabeti all’università, ma a quel grado dell’istruzione devono giustamente avere altre competenze. Certo, si potrebbe fare qualcosa all’entrata: un esame di ortografia per iscriversi all’università, e non solo alle facoltà umanistiche, a lettere o a scienze della formazione: a rischio di essere considerato talebano, mi piacerebbe una propedeutica di ortografia per ogni corso di laurea, poiché anche un ingegnere o un medico deve saper scrivere in italiano. Ma così non è, per questo lo scandalo è ipocrita. Il sistema è marcio, bocciare un ragazzo implica ormai per un docente esporsi automaticamente a un ricorso quando non a una querela, con spese legali, verbali su verbali da scrivere e riscrivere, ispezioni, patemi e sospensioni… non si capisce perché un insegnante dovrebbe farlo, dopo aver provato tutto ciò che poteva per insegnare qualcosa a chi è spesso refrattario e protetto nella sua pigrizia. Come colpa gli insegnanti ne hanno una sola: il buonismo. La pedagogia del “poverino”, dell’avanti tutti che ha ridotto masochisticamente il loro mestiere a babysitteraggio di Stato. Figuriamoci che fine può fare l’ortografia.

Per questo lo scandalo è un’ipocrisia: sono ipocriti i sindacati che sostengono un sistema marcio in cui gli insegnanti hanno le armi spuntate, ipocriti i dirigenti scolastici che appoggiano il buonismo e temono i genitori/avvocati, salvo poi scandalizzarsi nelle commissioni di concorso, ipocriti i pedagogisti che continuano a pontificare nelle loro accademie iperuraniche lontane chilometri dalla realtà delle aule, ipocrita il ministero che è il mandante di questa situazione, in una posizione che misteriosamente si perpetua con una continuità che ignora i cambi di governi e di colori. Tanto che il sospetto è sempre lo stesso: un popolo senza lingua, senza verbi, senza ortografia, è un popolo ignorante, incapace di vedere la realtà o di formulare persino i pensieri più semplici, quindi più facilmente manovrabile. Siamo davvero sicuri che a tutti questi sepolcri imbiancati interessi che le persone sappiano la lingua madre?