Il documento di orientamento per la redazione della prova di italiano nell’esame di Stato conclusivo del primo ciclo presentato al Miur il 16 gennaio 2018 ha provocato diverse reazioni, generando allarmismo per la presunta abolizione del cosiddetto “tema”, abolizione smentita dallo stesso ministro in un tweet del 18 gennaio. Steso da una commissione di esperti guidata dal linguista Luca Serianni, il documento vuole guidare il lavoro dei docenti in vista delle novità introdotte dal DM 741 che disciplina lo svolgimento dell’esame di Stato nel primo ciclo. Tale documento, come si legge nella sua premessa, fornisce indicazioni e suggerisce possibili modalità per la verifica delle competenze raggiunte nella lingua italiana al termine della terza media, lasciando la singola Commissione d’esame libera di scegliere le tipologie di prove nel rispetto della normativa, delle Indicazioni nazionali e delle caratteristiche specifiche dell’Istituto in cui opera.
Il documento fornisce alcuni esempi di tracce che anch’io, nella mia classe, sto usando come esercitazioni, senza peraltro percepire un eccessivo disorientamento tra gli studenti. Ho sempre fatto scrivere infatti (come tutti i docenti di lettere) testi narrativi, descrittivi e argomentativi, calibrando contenuto e valutazione sulla specifica età degli alunni, differenziando gradualmente la complessità delle richieste e cercando di ragionare minuziosamente sulla formulazione della traccia, sia per le esercitazioni domestiche che per le verifiche in classe. Ho anche fatto stendere riassunti, riscrivere dei testi o analizzarli.
Benché nelle 11 pagine del documento ministeriale la parola “tema” compaia solo una volta e nel suo significato primario (non in quello esteso di “componimento scritto”, per intenderci), il cosiddetto “tema” non è scomparso: gli studenti hanno ancora la possibilità di esercitare il pensiero e gli insegnanti di accompagnarli in questa avventura, in cui la correzione degli elaborati ha un ruolo altrettanto importante di quello della formulazione delle tracce. Nel documento, il termine “tema” è stato sostituito, come afferma Raffaela Paggi nel suo articolo sulla prova di italiano (cui rimando per una riflessione specifica) da “termini indicativi dell’atteggiamento testuale prevalente richiesto dalla consegna”.
Dopo aver seguito il dibattito e aver lavorato sui documenti, espongo di seguito alcune riflessioni in merito.
Dopo anni di insegnamento, il momento in cui preparo le prove scritte di italiano rimane per me particolarmente drammatico e delicato, più impegnativo di tanti altri aspetti del mio lavoro. Oso dire che nel corso del tempo il problema non è scemato, ma si è man mano acuito con il crescere della consapevolezza del valore formativo di tale momento per lo sviluppo critico e consapevole della persona. È, quello del “tema”, un momento particolarmente significativo nel cammino degli studenti: la possibilità di esprimere sé e insieme di conoscere un po’ di più sé stessi e ciò che ci circonda. Il narratore de La luna e i falò dice che Nuto, quando “aveva detto una cosa, finiva: Se sbaglio, correggimi”. Fu così che cominciò “a capire che non si parla solamente per parlare, per dire ‘ho fatto questo’ ‘ho fatto quello’ ‘ho mangiato ho bevuto’, ma si parla per farsi un’idea, per capire come va questo mondo”.
Il tempo dedicato allo svolgimento della prova scritta di italiano è un tempo prezioso per gli studenti: la traccia, qualunque sia la tipologia testuale che indichi, è una domanda esplicita o implicita che chiama a prendere posizione, ad esprimere un giudizio personale sull’oggetto proposto, a curare e mostrare, dispiegando il pensiero, il proprio sguardo sul mondo. Perché questa esperienza di libertà sia davvero possibile, occorre molto lavoro da parte dell’insegnante dietro le quinte dei titoli assegnati: la scelta degli argomenti, la ricerca del punto di accesso, la formulazione chiara di una traccia che non abbia una tesi precostituita ma faccia appello all’esperienza e alla ragione dello studente, che deve essere messo nelle condizioni di poter dire realmente la sua senza esser costretto a fare un discorso acritico e generico, che nulla di nuovo presenta rispetto all’opinione comune espressa dalla cultura in cui siamo immersi.
È a questa preoccupazione che rispondono le indicazioni dell’articolo 7 del DM 741 e del successivo documento Miur: si chiede infatti agli insegnanti di fornire, nelle tracce, strumenti che aiutino i ragazzi nello svolgimento.
Una volta, durante una lezione di poesia, uno studente mi chiese a cosa servissero versi, accenti e rime, le regole insomma della metrica italiana; gli sembravano infatti un limite all’espressione dei sentimenti e dei contenuti dei testi che stavamo affrontando. La forza di un fiume in piena, gli risposi, può distruggere case e raccolti, trascinando a valle mota e fanghiglia, pietre, alberi e case; se questa forza è incanalata, invece, se ha degli argini, può irrigare i campi e rendere fertile il terreno, e così dona la vita.
Questa è l’opportunità anche delle indicazioni per la prova scritta di italiano, purché attentamente vagliate. Solo una cosa, tra esse, ricorrente negli esempi di tracce proposti, desta in me una domanda: chi è il reale destinatario del testo scritto dai miei studenti? Negli esempi dei testi narrativi e descrittivi, ritrovo, variamente declinato: “[…] il tuo lavoro sarà letto nell’ambito di un progetto scolastico…”; “[…] il tuo testo sarà inserito in una raccolta…, […] il tuo racconto sarà letto…”. Nel migliore dei casi, non una festa, non un progetto, ma un afoso pomeriggio di giugno e un’aula della tua scuola saranno il palco in cui il tuo testo compirà la sua natura di atto comunicativo: sarà letto dai tuoi professori, dal tuo professore di lettere, divenuto commissario d’esame; quel professore o quella professoressa con cui, nel migliore dei casi, hai trascorso tre anni della tua vita; quel professore o quella professoressa che, in questi tre anni, è stato l’interlocutore primo dei tuoi scritti, al quale o alla quale hai comunicato ciò che volevi comunicare, ciò che hai avuto bisogno di comunicare, cioè di mettere in comune; quel professore o quella professoressa con cui hai anche litigato, a volte, che ti ha più volte corretto, che ti ha visto crescere e di cui tu hai imparato (o per diverse ragioni non hai voluto imparare) a fidarti. Non c’è tema che ho corretto in cui non ho sentito vibrare la tensione di un dialogo con me, indiretto quanto si vuole, ma sincero. E se è vero che all’esame di maturità il testo prodotto dal candidato potrà essere letto da uno sconosciuto commissario esterno, alla scuola del primo ciclo c’è ancora il legame discreto della scrittura con una figura che è familiare. Senza rinunciare alla richiesta di una chiarezza espositiva e alla necessità di esplicitare l’implicito comprensibile solo da un destinatario che ci conosce, penso che il distacco da questo orizzonte della scrittura debba essere graduale, e che il momento migliore per questo passo sia il primo biennio della scuola superiore, in linea con la crescita della capacità di pensiero e di astrazione degli studenti.
Da ultimo, reduce dalla lettura di due saggi di Serianni sull’insegnamento dell’italiano editi da Laterza (L. Serianni, L’ora di italiano. Scuola e materie umanistiche e Leggere, scrivere, argomentare. Prove ragionate di scrittura), intravedo in controluce nel documento Miur lo sviluppo di alcune linee di pensiero che guidano la mia quotidiana pratica didattica e che condivido. L’insegnamento del lessico, la scoperta del piacere di leggere, la padronanza delle strutture sintattiche, il dominio della testualità sono elementi che interessano lo statuto del mio insegnamento e per i quali lavoro.
E se il documento sulla prova d’esame delle competenze di italiano è giustamente indirizzato ai docenti di lettere e tocca un aspetto puntuale della disciplina che insegnano, ritengo che quanto ad essa sottende chiami in causa i docenti di tutte le discipline. L’acquisizione e lo sviluppo delle competenze linguistiche degli studenti non possono essere relegati all’ora di italiano, poiché la lingua è allo stesso tempo veicolo di conoscenza, strumento di pensiero e di espressione critica e consapevole ed è utilizzata in tutti gli insegnamenti. Ogni docente, infatti, maneggia dei testi, siano essi scritti o orali. Di più: discipline distanti tra loro hanno il vantaggio di utilizzare tipologie diverse di testi e un lessico specifico; l’integrazione delle competenze disciplinari con quelle linguistiche degli insegnanti tutti potrebbe dare un grande contributo allo sviluppo della prima Competenza di cittadinanza, quella della Comunicazione nella madrelingua, che chiede di “Utilizzare il patrimonio lessicale ed espressivo della lingua italiana secondo le esigenze comunicative nei vari contesti”.
Occorre, io credo, vivere in prima persona noi docenti un’esperienza reale di interdisciplinarietà e riflettere insieme sulla padronanza delle testualità, in quanto, come per molti aspetti della vita scolastica e del nostro lavoro, la responsabilità dell’insegnamento delle competenze linguistiche non può che essere collegiale e condivisa.