E’ ancora presto per dirlo, ma se si arrivasse a un governo guidato dalla Lega, la scuola italiana subirebbe cambiamenti radicali, che pur modificando molto, potrebbero non risolvere alcunché. La politica scolastica di Matteo Salvini ruota su alcuni punti chiave, tra cui l’unione del ciclo della primaria a quello delle medie, il rientro dei docenti meridionali nelle scuole vicino alla propria residenza e un azzeramento della Buona Scuola di matrice renziana. A sentire però le dichiarazioni del leader legista, rese a Strasburgo alcuni giorni fa, i temi scolastici sembrano ancora proposti con formulazioni da campagna elettorale, per cui c’è ancora poca chiarezza. Inoltre i dirigenti del partito fondato da Umberto Bossi che si occupano di scuola, come Mario Pittoni, ministro dell’Istruzione in pectore, non hanno ancora proposto documenti e analisi che mettano in chiaro le precise direttive e non sono mai andati oltre alla propaganda. Diventa difficile orientarsi.
Cerchiamo allora di fare chiarezza. Il progetto di unificare i due tempi del primo ciclo di studi, primaria e medie, ora divenuto il cavallo di battaglia del Carroccio, ha il pregio di puntare l’attenzione sul primo step degli studi (6-14 anni), fatto che sinora era sempre passato in secondo piano, visto che sin dai tempi della Moratti (si veda anche l’ultima proposta dei licei quadriennali ancora in fase sperimentale) i tentativi di riforma vertevano sulle superiori, per cui all’epoca si diceva che il governo Berlusconi iniziava dal tetto, invece che dalle fondamenta.
Tuttavia toccare nuovamente l’ordinamento scolastico senza un progetto complessivo potrebbe causare gravi danni all’intero sistema, in quanto è proprio nella fase iniziale degli studi che si acquisiscono le conoscenze e le competenze di base. Se per una malaugurata ipotesi si mettessero in crisi le elementari, punto di forza del nostro sistema d’istruzione dalla nascita della Repubblica, i danni si potrebbero riversare su tutto il percorso di uno studente.
D’altro canto è noto che i tre anni delle cosiddette medie non rappresentano più il punto di congiunzione tra primo e secondo ciclo, cioè tra gli studi della formazione di base e quelli superiori. Infatti da più parti si sostiene che, superata l’alfabetizzazione di base, le medie “unificate” non riescano a incidere in modo adeguato sulla formazione degli adolescenti, per cui il percorso di conoscenza della lingua italiana rimane sempre incompleto, le competenze matematiche si posizionano al di sotto dei livelli standard e le abilità nelle lingue straniere risultano ancora deboli. Inoltre se la fascia alta degli studenti, destinata ai licei, è quasi del tutto formata alla fine delle elementari o nell’anno successivo, non si riesce a intervenire più di tanto su quella bassa, destinata ai tecnici e ai professionali, correggendone lacune nelle conoscenze e nel metodi di apprendimento.
Non sembra però che i seguaci di Salvini abbiano piena consapevolezza dei meccanismi profondi che fanno funzionare la scuola italiana e tale fatto emerge proprio dalle modalità della riforma ipotizzata. Infatti il cambiamento proposto verte su una semplice operazione aritmetica e il nuovo ciclo scolastico di otto anni risulterebbe dalla semplice somma degli assetti precedenti. Mancando il progetto di fondo, inoltre, si perde anche la grande occasione di rimodulare le conoscenze, le abilità e le competenze su 7 anni invece che su 8, con il traguardo di ridurre il percorso scolastico complessivo a 12 anni (7 del primo ciclo e 5 del secondo), permettendo ai nostri ragazzi di accedere all’istruzione terziaria a 18 anni, come in gran parte del mondo.
Ai leghisti sembra sfuggire la necessità di una riformulazione delle finalità didattiche del primo ciclo. Da più parti si chiede infatti di tornare alle conoscenze di base, alla lingua italiana, all’aritmetica e al calcolo, perché la rivoluzione digitale sta facendo scomparire la scrittura e la lettura e molti alunni in prima superiore non hanno neppure i requisiti matematici minimi. La portata dei cambiamenti in atto è tale che deve essere iniziata una profonda riflessione sulla mission della scuola primaria e più in generale del primo ciclo. Il “maestro e professore prevalente” che si occuperà delle materie principali (italiano, storia, geografia, scienze), a cui è affidato il compito di seguire la classe per tutta la durata degli studi, sembra una soluzione ancora generica. La presenza poi di un altro gruppo di discipline, definite “specifiche”, come matematica, lingue, discipline sportive, discipline artistiche, musica, sa molto di materie secondarie e quindi minori.
Riguardo poi alle proposte sul personale della scuola (rientro dei docenti al Sud, concorsi su base regionale, eliminazione della chiamata diretta) rimarcano ulteriormente un approccio poco attento alle reali esigenze del sistema, con in più una vena spiccatamente demagogica. Qui Salvini sembra scimmiottare la Cgil o i Cobas nel chiedere il rientro dei docenti meridionali, e la parificazione tra “continuità didattica” e “continuità affettiva” (vicinanza tra lavoro e famiglia) fa tornare in mente la scuola alle mille garanzie dei governi democristiani. Il sistema di reclutamento e la preparazione dei docenti è una problematica centrale che non viene certamente risolta dalla bacchetta magica dei concorsi su base regionale, mentre la chiamata diretta, emanazione della Buona Scuola di Renzi, non è da buttare a priori. Insomma l’immagine di una Lega rigorosa e muscolosa su temi come tasse, immigrazione e lavoro, sembra farsi più sfocata e poco efficace quando deve occuparsi di scuola.