Una delle novità degli Stati nazione nati nel XIX secolo fu la capacità di costruire sistemi scolastici che fossero la cinghia di trasmissione dell’ideologia dominante. La scuola dello Stato piano piano prevalse su altre agenzie educative, per cui i giovani, di volta in volta, furono formati per sacrificarsi sull’altare della patria, per seguire l’uomo della provvidenza, oppure per realizzare l’uguaglianza proletaria.
Agli albori della terza repubblica, superati i pensieri forti, messe da parte destra e sinistra, prevale l’indefinito e l’istruzione pubblica è fondata su ritagli di pensiero e impostazioni pedagogiche talmente mescolate da non permettere alcun orientamento.
Il Movimento 5 Stelle è l’emblema di tale amalgama e nello stesso tempo sta riproponendo in modo sommesso, ma netto, un intervento ideologico e statalista sul sistema scolastico. Vediamo come.
Innanzitutto, si nota una netta invasione di campo della politica sull’istruzione, in quanto sono previsti il potenziamento delle compresenze, della programmazione in team e della didattica innovativa e interdisciplinare. Belle parole, che però mettono in evidenza come la politica oggi voglia occuparsi anche della didattica. Perché aumentare le compresenze? A che scopo? Oppure, cosa significa didattica innovativa? E quali i motivi dell’interdisciplinarietà? Sembra proprio uno statalismo di ritorno, che vuole cancellare le prove Invalsi e modificare la valutazione in decimi. Secondo Italia Oggi sparirebbero i voti e la valutazione verrebbe espressa tramite la certificazione delle competenze da effettuare annualmente.
Per gli (in)esperti del M5s, inoltre, si dovrebbe mettere da parte il sistema decimologico per sostituirlo con una semplice certificazione, passando dall’arrosto al fumo. Nel programma pentastellato è molto forte il ruolo delle cosiddette educazioni, al plurale (civica, ambientale, alimentare, parità di genere, affettività, emozioni, sessualità consapevole e altre) con un ulteriore passaggio agli aspetti più prettamente ideologici e totalitari. Se la conoscenza e il metodo critico perdono la centralità, è noto come prendano il loro posto gli aspetti emergenti della cultura dominante, spacciati come educazioni. La scuola dei grillini non diventa, quindi, il luogo della formazione della persona, ma il punto in cui riversare sulle giovani generazioni aspetti antropologici alla moda: una volta era la rivoluzione proletaria e antifascista, oggi il gender, l’affettività e le emozioni.
Non esistono, infatti, educazioni neutre e, come ha sostenuto Papa Francesco alla Giornata della scuola del 2014, “L’educazione non può essere neutra. O è positiva o è negativa; o arricchisce o impoverisce; o fa crescere la persona o la deprime, persino può corromperla”. Parafrasando al contrario Plutarco, si può dire allora che per Di Maio e compagnia, gli studenti diventano vasi da riempire con la cultura di Stato, non fuochi da accendere.
Uno dei temi cari, poi, è quello dell’abolizione della legge sulla parità scolastica e la cancellazione dei contributi statali alle scuole non statali. I 500 milioni annui che lo Stato versa per l’istruzione paritaria sono considerati solo delle prebende, fonte di risparmio per finanziare il grandioso progetto statal-assistenzialista del reddito di cittadinanza. I 5 Stelle hanno però recentemente precisato che non verrebbero toccate le scuole dell’infanzia, bensì tutti gli altri ordini di scuola. In questo modo saranno costretti a chiudere tutti i grandi istituti, soprattutto di natura religiosa, per il fatto che i contributi statali vanno a coprire, in genere, i costi degli stipendi dei docenti laici, con una perdita netta di tutte quelle esperienze educative che fanno la ricchezza del nostro sistema scolastico.
In questo modo il movimento di Grillo porta a compimento la forte tendenza anticlericale e antireligiosa che è sempre stata presente nel background culturale del suo movimento e che il comico genovese non ha mai rinnegato.