La ministra Fedeli è in uscita e, in cima alla classifica dei ministri più pagati, ignora le voci allarmate di quelle scuole medie che, alla faccia dell’industria 4.0 e del Piano digitale, hanno 13 pc in un intero istituto per le prove Invalsi computer based, mentre le sale professori di tutta Italia si riempiono di avvisi sulle finestre di somministrazione di tre prove, italiano, matematica e inglese.
E certamente se la ministra uscisse dal dolce torpore in cui la fine del suo mandato l’ha immersa per rispondere all’appello di dirigenti e vice-dirigenti scolastici, segretarie, tecnici o pseudo-tecnici informatici (ovvero i colleghi smanettoni che devono fare assistenza alle prove insieme ai colleghi che non insegnano nessuna delle tre materie “invalsate”), si accorgerebbe che fare la sindacalista non solo non è bastato a salvare il suo governo dalla batosta elettorale, ma non ha nemmeno scalfito la pigrizia mentale degli addetti alla stanza dei bottoni; stanza di bottoni e non dei cervelli, che degli orari da rifare, dei pc mancanti, delle reti che non ci sono o non vanno, nulla sanno e nulla vogliono sapere.
Come sempre, per fare una riforma il Miur segue il modello primario, quello del 1924 in epoca fascista, e se a Gentile piacque la cultura, all’Invalsi piace la misura: ma che sia Gentile, o Renzi, o Fedeli, lo schema è sempre quello. Inventiamoci un modo per cambiare la scuola dall’alto, schimmiottiamo le prove standardizzate del mondo anglofono. Ma gli studenti debbono rispondere a quesiti di retorica in italiano e fare listening in inglese, quando in classe non si è mai visto un lettore cd, e l’unica conversazione in inglese la leggono (loro) dal libro.
Troppe sono le approssimazioni, troppe le colpe, troppi i responsabili. Unica vittima certa, la scuola reale.