La sperimentazione dei percorsi quadriennali non decolla! Perché? Da qualche giorno vi è interesse, anche dei media, su questo problema. Essere in campagna elettorale non ha certo aiutato la ricerca di una risposta oggettiva, i detrattori del progetto hanno colto l’occasione per trovare il capro espiatorio nella ministra colpevole, secondo loro, di aver dato il via ad un progetto che impoverirà l’offerta formativa poiché non ha valenza didattica ma, soprattutto — solito refrain — a regime ridurrà i posti di lavoro. 



Ritengo sia pertanto utile e doveroso fare alcune precisazioni. La prima si riferisce alla valenza didattica, ricordando che prima di giudicare è bene conoscere. I progetti quadriennali, come recita il bando, hanno lo stesso profilo d’uscita e gli studenti sostengono lo stesso esame di Stato di ordinamento, presupposto contrario a qualsiasi ipotesi di “impoverimento” dell’offerta formativa e, quindi, dei livelli di apprendimento. Gli studenti che hanno frequentato negli scorsi anni le prime e numericamente limitate sperimentazioni non solo hanno avuto buoni risultati, ma proseguono con successo il percorso universitario, mostrando una buona capacità organizzativa derivante da un acquisito alto livello di autonomia personale incrociata ad un metodo di studio efficace frutto della necessità di efficienza negli apprendimenti richiesta nei percorsi quadriennali. Va ricordato anche, notizia poco diffusa, che dal 2004 i percorsi di studio della scuola secondaria di secondo grado nelle scuole italiane all’estero sono quadriennali, senza che venissero poste in evidenza criticità tali da comportare una revisione di tale scelta fatta dal Miur.



L’oggettività è altra e va ricercata nei tempi e in una scelta strategica errata. Parto dai tempi per ricordare che, come tutti sanno, in origine il bando doveva prevedere la presentazione delle domande di partecipazione nel settembre 2017 al fine di permettere alle scuole che avessero ottenuto l’approvazione, di presentare il proprio progetto alle famiglie durante il normale periodo degli “open day”, tempo in cui le famiglie si informano per scegliere il futuro percorso di studi superiore per i loro figli. 

Lungaggini burocratiche e resistenze all’interno del ministero legate, a mio avviso come spiegherò, a paura dell’innovazione e desiderio della conservazione, hanno fatto sì che l’approvazione dei primi 100 progetti arrivasse solo il 28 dicembre 2017, periodo di scuole chiuse e di vacanze per le famiglie, a pochissimi giorni dalla data ufficiale di avvio delle iscrizioni, scelta che ha impedito di fatto alle scuole di impostare una buona campagna di informazione che permettesse di vincere, dimostrandone la falsità, l’immediata reazione dei detrattori che hanno puntato a svilire i progetti con lo slogan “si riducono i programmi”, comunicazione che non ha di certo invogliato le famiglie che hanno a cuore il futuro dei loro figli a scegliere il percorso quadriennale. 



In questo difficile contesto si è incrociata un’errata e, a dir poco, superficiale strategia da parte del ministero. Pensare che le famiglie fossero già in coda per le iscrizioni era errato, pensare che le scuole in grandissimo numero presentassero il progetto era altrettanto errato. Che questo pensiero fosse latente è confermato dai primi commenti del ministero “le domande sono poche!” indice di una diversa valutazione. Già aprire a 100 scuole significava decuplicare l’esistente, ma a questo si aggiunge l’ulteriore errore strategico, probabile frutto di qualche pressione, ossia quello di aprire a tutti i richiedenti, anche ai 92 rimasti al palo alla selezione valutativa dei progetti. Il risultato non poteva che essere quello cui stiamo assistendo poiché nel difficile contesto si è fatta un’offerta formativa molto superiore alla domanda.

In un recente incontro si valutava che l’attuale media degli iscritti ai 192 percorsi quadriennali sono 10. Fossero rimasti 100, già la media si sarebbe avvicinata a 20, un grande successo che avrebbe permesso un normale decollo ed evitato le polemiche cui stiamo assistendo.

Aggiungo all’analisi due ulteriori complicazioni. La prima si riferisce alla maggior difficoltà psicologica delle famiglie che oggi per iscrivere i figli ad un percorso quadriennale debbono rinunciare ad una prima scelta fatta con piene informazioni verso una seconda di cui non hanno ancora informazioni consolidate. La seconda sono le difficoltà delle scuole: quelle statali che sembra non possano offrire e trasferire studenti dai percorsi quinquennali ai quadriennali per un blocco ministeriale legato alle norme sugli organici e quelle paritarie legate agli aspetti economici per l’investimento richiesto per l’eventuale avvio di una classe con numeri ridotti, che, come recita il bando, negli anni successivi non potrà avere inserimenti.

Qualcuno diceva che “a pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca” e non riesco ad allontanare da me la convinzione che dietro ai ritardi burocratici, alle resistenze ministeriali, agli errori di strategia, al concedere l’autorizzazione a decisioni già prese dalle famiglie, ai blocchi legati agli organici, non ci sia la strisciante volontà di far fallire questa operazione, per la preoccupazione che un grande successo avrebbe dato una forte spinta all’innovazione e aperto la strada verso una più rapida rivoluzione organizzativa del nostro sistema scolastico, una rivoluzione sempre più auspicata, ma costantemente contrastata da conservatori reazionari che puntano ad una restaurazione del sistema e che cercano appoggio tra i docenti e i dirigenti scolastici.

I percorsi quadriennali, ad esempio, aprono una nuova stagione di lavoro per docenti e dirigenti. Piena autonomia didattica. Né programmi né indicazioni di riferimento, ma come nei paesi scolasticamente più avanzati, solo un profilo di uscita lasciando ai docenti la costruzione della propria programmazione per far raggiungere gli obiettivi previsti in piena autonomia, nei contenuti, nelle conoscenze, nelle competenze intermedie, nei libri di testo anche da costruire autonomamente.

Un percorso entusiasmante che richiede convinzione, passione, impegno, assunzione di responsabilità, didattica innovativa, maggior coinvolgimento degli studenti e delle famiglie, proprio ciò di cui ha bisogno il nostro sistema scolastico. Un progetto che se ha successo contribuirà a mettere in discesa la strada verso la piena autonomia delle istituzioni scolastiche, ma questo non piace agli oppositori statalisti e non autonomisti.

In questo contesto non va dimenticata la richiesta (Appello per la Scuola Pubblica) fatta a fine dicembre da intellettuali, docenti, dirigenti scolastici al presidente della Repubblica, ai presidenti delle Camere, alla ministra su cui si stanno raccogliendo migliaia di firme in cui, tra l’altro, si chiede di rimettere in discussione: programmazione per competenze, innovazione didattica e tecnologie digitali, didattica laboratoriale, alternanza scuola lavoro, metodologia Clil, tutti capisaldi su cui si è basato in questi ultimi anni il tentativo di rinnovare e modernizzare il nostro sistema scolastico per allinearlo ai Paesi con i sistemi più avanzati. 

Siamo veramente il paese del Gattopardo dove “tutto cambia perché nulla cambi”? Mi auguro di no, aldilà dei percorsi quadriennali, e che il processo di innovazione, modernizzazione, piena autonomia proceda e proceda rapidamente: ne ha bisogno il Nostro Paese, ne hanno bisogno i nostri giovani per il loro futuro, i loro sogni, le loro aspettative, le loro ambizioni.