Una società cresce e prospera se funziona bene il rapporto e il passaggio tra generazioni. Perché ciò avvenga nel modo migliore, ovvero consenta di produrre benessere a vantaggio di tutti, la premessa è che le generazioni più mature sappiano trasmettere valore alle generazioni successive, ma anche che queste ultime siano in grado di riconoscere il valore di quanto ricevuto. Ma non basta: le nuove generazioni devono poter andare oltre quello che hanno ricevuto ed essere riconosciute come soggetti in grado di generare nuovo valore.



Più che in altri Paesi i giovani italiani sono invece dipendenti dal benessere passato, quello costruito da nonni e genitori, ma meno messi nella condizione di produrre essi stessi nuovo benessere nella società e nell’economia. Viene ad essi attribuito un valore privato molto elevato da parte di madri e padri, ma ottengono molta meno attenzione e investimento pubblico. Il rischio è, quindi, quello di essere protetti e schiacciati in difesa, anziché incoraggiati e attrezzati a sfidare il mondo che cambia e a realizzare in pieno i propri progetti di vita.



Dal Rapporto giovani 2018 dell’Istituto Toniolo (edito da Il Mulino, da oggi in libreria) emerge soprattutto il desiderio delle nuove generazioni italiane di essere riconosciute non per quello che manca e che il passato non può più assicurare, ma attraverso quello che esse possono essere e dare nel contribuire concretamente a costruire un futuro migliore.

I giovani italiani vorrebbero lasciare alle spalle una crisi economica che ha frenato aspirazioni ed espressione delle proprie potenzialità, per essere messi finalmente nelle condizioni di diventare parte attiva di un processo di cambiamento e di sviluppo del Paese.



Più in concreto, vorrebbero una scuola che consenta maggiormente di rafforzare competenze utili alla vita e al lavoro. Vorrebbero dipendere di meno dalla famiglia di origine. Vorrebbero avere strumenti più avanzati per costruire il proprio percorso professionale. Rispetto agli altri Paesi, troppi under 35 sono nella condizione di Neet (i giovani che non studiano e non lavorano), se trovano lavoro è grazie a canali informali e all’aiuto dei genitori, più alto è inoltre il rischio di scarso allineamento tra livello di formazione e lavoro svolto. Non a caso la percentuale di chi afferma di avere un’aspirazione professionale, ma non sa se riuscirà a realizzarla, risulta dalla ricerca pari al 40,7%, rispetto al 35,3 dei coetanei spagnoli, al 33,6% dei francesi e a valori sotto il 30% di inglesi e tedeschi.

Altro aspetto rilevante che mette in luce la ricerca è la voglia di non rassegnarsi e di contare di più, sia nella possibilità di operare scelte che riguardano la propria vita (autonomia, lavoro, formazione di una famiglia), sia nelle decisioni collettive sul cambiamento del Paese.

Le difficoltà del presente fanno aumentare la sfiducia verso le istituzioni, ma non hanno fatto ancora scadere i più nella rassegnazione. Il 73,8% degli intervistati ritiene, infatti, che sia ancora possibile impegnarsi in prima persona per cercare di far funzionare meglio le cose in Italia. Ma questa disponibilità positiva può trasformarsi in vero ingaggio solo in un Paese che crede davvero nel proprio futuro e in grado di dare un valore al ruolo delle nuove generazioni per costruirlo.