Nel 2007 fu introdotto dal ministro Fioroni il “Patto scuola-famiglia di corresponsabilità educativa”, che doveva sancire un’alleanza in grado di garantire l’indispensabile clima di correttezza e di rispetto reciproco nelle aule scolastiche. In parole povere, la scuola si impegnava a fare di tutto per fornire un buon servizio; i genitori a leggere il regolamento di istituto e a farlo rispettare ai figli. Nelle superiori in genere si chiede anche agli studenti di condividerlo. Ebbene: in cosa si è risolta l’iniziativa nella grande maggioranza dei casi? In una frettolosa sottoscrizione del documento, previa frettolosa lettura, all’atto dell’iscrizione alla scuola.
Già il termine “patto” è sbagliato. Va bene a conclusione di una trattativa, in cui ciascuno ha concesso e ottenuto qualcosa. Ma qui si tratta, com’è ovvio, di una semplice presa d’atto delle regole che solo la scuola è legittimata dalla legge a stabilire e di cui deve assumersi tutta la responsabilità. Del resto il consiglio d’istituto, che ha il compito di approvare i regolamenti interni, comprende anche una rappresentanza dei genitori e, nelle superiori, degli studenti; ed è qui che può esserci il confronto tra le diverse componenti.
Chiamarlo “patto”, però, serve a coltivare l’illusione che una firma sia sufficiente a vincolare al rispetto di quello che c’è scritto. Serve anche a non parlare di sanzioni, perché altrimenti ce ne dovrebbero essere per tutti i contraenti, inclusa la scuola. Ma più ancora l’omissione è frutto di una pedagogia che ha espulso la punizione dal suo discorso, facendo intendere che sia l’opposto dell’educazione, negandogli cioè il carattere di strumento educativo fra gli altri, come l’esempio, l’esercizio, il richiamo.
Quanto sia servito il patto educativo introdotto dal ministro Fioroni (che ha comunque alcuni meriti in direzione della scuola seria) lo dicono i fatti; e non solo quelli clamorosi di questi giorni e dei mesi scorsi, ma la lunga storia di fatica e di avvilimento, solo in minima parte raccontata, che tanti bravi insegnanti hanno vissuto negli ultimi decenni, privi del sostegno delle istituzioni (a cominciare spesso da quella più vicina, il dirigente) in una quotidiana battaglia per il rispetto delle regole.
L’alleanza fra scuola e famiglia è importantissima, ma non serve certo, come ora si propone, una nuova edizione del “Patto”. Va ricostruita — senza il minimo equivoco sulla distinzione dei ruoli — a partire dalla fermezza nell’esigere e nell’assicurare il massimo rispetto delle regole. Bisogna ripensare la comunicazione con i genitori a cominciare dai colloqui individuali, anche facendone oggetto di un aggiornamento dei docenti; promuovere incontri di formazione e di dialogo sulle difficoltà dei ruoli educativi; far emergere il pensiero degli studenti corretti danneggiati dall’indisciplina di alcuni compagni e quello delle famiglie che non gridano, non protestano e sono al fianco degli insegnanti, ma in silenzio. Ricordo che un sondaggio commissionato dal Gruppo di Firenze ha rilevato che due italiani su tre giudicano la scuola troppo poco severa riguardo al comportamento e considerano sbagliata la recente abolizione della bocciatura per l’insufficienza in condotta.
Detto questo, nella situazione della scuola descritta in questi giorni dai mezzi di comunicazione, sarebbe un sollievo sentire un responsabile politico, magari un ministro dell’Istruzione, dire “abbiamo sbagliato” — a fare della disciplina un tabù; a tollerare e persino a lodare le occupazioni; a non fare nulla per evitare che agli esami si copi a mani basse; a non criticare sanzioni risibili come la sospensione con obbligo di frequenza; a promuovere l’uso del cellulare a scuola; ad abolire il 5 di condotta come segno che esistono limiti insuperabili. Speriamo che almeno di fronte agli episodi degli ultimi mesi qualcuno venga assalito dalla realtà.