Verità o princìpi? Che cosa è in gioco? Che cosa salvaguarda la vita, e in particolare la vita umana? Progressisti e tradizionalisti sono poi così distanti tra loro? Ed è proprio questa l’opposizione che serve per guardare al futuro?
Per spiegare come siano in gioco due idee e due prassi di ragione e di ragionamento, che diventano vita o negazione di vita, partiamo da Luca (il nome è di fantasia), per il quale con le maestre abbiamo dovuto decidere come festeggiare San Giuseppe, la festa del papà.
Luca è al secondo anno della scuola dell’infanzia (4 anni), e ha da poco iniziato a dire di essere una femmina e di volersi vestire da femmina. È nato da inseminazione artificiale, e la compagna della mamma di oggi non è la stessa donna con la quale la mamma aveva deciso di averlo. Si era attaccato allo zio, ma la mamma gli ha impedito di vederlo. A scuola tutte le insegnanti sono donne. Luca è stato privato di presenze e di modelli maschili in quegli anni nei quali si elabora la primissima definizione di sé, che è anche e contestualmente una definizione di genere (non esiste, se non per nostra comprensione concettuale, una separazione tra la definizione di sé e la definizione di genere. Noi “siamo” o come maschi o come femmine), tanto che attorno ai 4 anni questo primissimo processo si conclude quando i bambini iniziano a dire “io” o come maschi o come femmine. I 5 anni saranno poi un costante consolidamento dell’identità-genere acquisita (“Questo è un vestito da maschio e questo da femmina. Questo è un gioco da maschio e questo da femmina. Questo è un colore da maschio e questo da femmina. Secondo te, l’arancione è un colore da maschio o da femmina? E il verdeacqua?”, ecc.). La mamma di Luca ha cambiato cinque psicologhe, ma alla fine è riuscita a trovarne una che avallasse il suo operato. Molto probabilmente Luca sarà omosessuale per tutta la vita, e molto probabilmente nessuna terapia riuscirà a scavare così a fondo da raggiungere un processo così originario come quello in cui avviene la prima definizione di sé, che poi verrà ripresa e definitivamente fissata nell’adolescenza con gli strumenti nel frattempo acquisiti nello sviluppo. Luca vivrà tutta la vita scisso tra la dimensione organica, che si muoverà nell’orizzonte della polarità maschile, e una dimensione psichica, che si muoverà nell’orizzonte della polarità femminile, e quando emergerà appieno la terza dimensione, quella dell’io con la sua libertà, decisionalità e responsabilità, dovrà costantemente scegliere, in ogni frangente dell’esistenza, tra le istanze della prima e della seconda. Un incubo.
Ci sono colpe? Certo. La colpa è della mamma, che ha rovesciato sul figlio un odio incontenibile per il mondo maschile, un odio che avrebbe dovuto gestirsi da sé. La colpa è di quegli uomini che hanno portato una donna a odiare visceralmente il mondo maschile. La colpa è di quell’uomo che ha donato il proprio seme, pur sapendo che avrebbe generato un orfano. La colpa è del medico che ha praticato l’inseminazione artificiale, sapendo che quel bambino sarebbe nato senza un padre. La colpa è di quella legge e di quel legislatore che hanno reso legale una pratica medica che genera orfani. La colpa è di quel sistema mediatico e di quei giornalisti che hanno sostenuto il varo di una legge così fatta. La colpa è di quell’opinione pubblica che non si è opposta al varo di quella legge. La colpa è nostra, per tutte le volte che pensiamo di essere impotenti di fronte al male, e di non poter fare nulla per il bene dell’uomo.
La vita di Luca sarà una schizofrenia di genere, e la colpa ha nomi e cognomi precisi, non certo il suo. Sua sarà la responsabilità di farsi carico della colpa altrui. A lui sarà chiesto di prendere in mano quella scissione che lo divide dolorosamente in due, e farne una strada verso la verità di sé, sapendo peraltro che quella verità probabilmente non la raggiungerà mai. Il suo essere-maschio è quella verità di sé che lui stesso, nell’attaccamento allo zio, ha tentato di difendere fintanto che ha potuto, fin quando il mondo non lo ha vinto.
Nel momento in cui il suo essere-maschio (con tutte le sue implicazioni) diventasse un principio da rispettare, lui sarebbe un fuori-legge per tutta la vita. Un principio è la formulazione, necessariamente astratta, di una verità, che però è viva e vitale, e che non si esaurisce in quel medesimo principio. Nel contenuto verità e principio coincidono, ma l’una viene compresa nei termini dell’altro quando la ragione che usiamo per comprenderli perde la sua integralità e si riduce alla razionalità, che elaborando le informazioni in maniera unicamente astratta e astrattiva, perché questo è il suo compito, rende astratta una verità, che invece ha carne e sangue, ha una storia, ha scelte in cui compiersi, ha una libertà in cui giocarsi, ha una strada da percorrere.
Allora, all’opposto, non devono esistere dei princìpi? Non esiste una legge naturale? Una verità di sé esiste così profondamente, che Luca l’ha difesa con tutte le sue forze. La sua stessa esperienza attesta quella verità.
Tradizionalisti e movimento Lgbt, apparentemente lontani, in realtà condividono una medesima concezione di ragione; costituiscono le due polarità opposte di un unico modo non di ragionare, ma di usare la ragione, gli uni nelle sue modalità elaborative (in particolare astrattive), gli altri nelle sue conseguenze conoscitive del reale; i primi riducendo a principio una verità in taluni casi mai raggiungibile, i secondi eliminando la verità in quanto tale. Entrambi elaborano un pensiero che produce astrazioni-senza-verità, che presto diventano sistemi ideologici, cioè sistemi di pensiero che si pretendono generatori di realtà-così-come-la-pensiamo-o-la-vogliamo (come mostrano i recenti casi di “Gender Fluid Parenting” o “Gender Affirming Parenting”). Entrambi perdono Luca, e con lui la possibilità che egli guardi a sé e alle scelte che dovrà fare con la serenità e la pace sufficienti per camminare faticosamente verso l’integrazione di sé, quella tra organismo e psiche.
Perché Luca ritrovi se stesso, non gli servirà a nulla l’opposizione fra tradizionalisti ed Lgbt, fra opinioni degli uni e degli altri. Gli potrà essere utile solo l’opposizione fra un uso della ragione allargata, che coglie la verità di sé, e un uso della ragione come sola razionalità, che elimina la verità o formalizzandola in astratto (tradizionalisti), o annullandola (Lgbt).
Qual è la cattiva notizia? Che un uso della ragione in chiave strettamente razionale ha nel singolo, per motivi sia biografici che storico-culturali, radici così profonde addirittura nella configurazione della struttura neurobiologica dell’organismo, che potrebbe venire modificato solo in virtù di un lavoro su di sé consapevole, volontario, appropriato, lungo e faticoso, come insegna il terzo fratello saggio de “I tre porcellini” (se vogliamo che la casa del nostro pensare e vivere resista all’attacco del lupo, dobbiamo avere la pazienza e fare la fatica di costruirla in mattoni, perché né paglia né legno sono sufficienti).
Invece la buona notizia, se così possiamo definirla, è il dramma delle nuove generazioni. In Italia la Società di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza avverte che le richieste d’intervento aumentano del 7 per cento l’anno (cfr. Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, “La salute mentale degli adolescenti”, 14 marzo 2018). I disturbi specifici dell’apprendimento coinvolgono ormai il 3 per cento della popolazione scolastica, significativamente più al Nord che al Sud (Miur, Gli alunni con Disturbi Specifici dell’Apprendimento nell’a.s. 2016/2017, aprile 2018). In Francia il filosofo e psicoanalista Miguel Benasayag, e lo psichiatra infantile e dell’adolescenza Gérard Schmit, hanno raccolto i dati dei servizi nazionali di consulenza psicologica e psichiatrica, e hanno rilevato tra i giovani il diffondersi di patologie psichiatriche che hanno il proprio epicentro nella tristezza (l’epoca delle “passioni tristi”). La psicoterapeuta canadese Victoria Prooday avverte che le statistiche pubblicate negli ultimi 15 anni a livello mondiale indicano l’aumento continuo nei bambini di disturbi psicologici che stanno raggiungendo livelli quasi epidemici: un bambino su cinque ha problemi di salute mentale, i disturbi dello spettro Adhd (deficit di attenzione/iperattività) sono aumentati del 43 per cento, nei preadolescenti tra i 10 e i 14 anni i suicidi sono aumentati del 200 per cento, fra gli adolescenti la depressione è aumentata del 37 per cento.
Il livello di sofferenza è ormai tale, e gli adulti sono così incalliti nel non modificare le abitudini che provocano tale sofferenza, che — semplicemente — i bambini di oggi non sapranno che farsene del razionalismo tradizionalista o progressista con cui noi adulti perdiamo il tempo a discutere. Avranno bisogno solo di strumenti per risolvere i propri problemi, quelli che abbiamo lasciato loro in eredità; avranno bisogno solo di verità. Luca dovrà prendere le distanze dal mondo di sua madre, da quello di quel donatore di seme, di quella psicologa, di quel medico, di quel legislatore, di quei mass-media; prendere su di sé la propria storia, allargare il proprio modo di ragionare sulle cose secondo una tradizione esistente, che, parallelamente al razionalismo, attraversa anch’essa da tre millenni con un andamento spesso carsico, ma vitale, un’Europa che deve respirare a due polmoni, e riconquistare quell’antropologia ad essa sottesa, che gli consentirà di camminare faticosamente, ma salutarmente, verso la verità di sé. E noi dovremo sostenerlo, perché da solo non potrà farcela.
Esattamente come lo specchio della matrigna di Biancaneve, i bambini ci rimandano la nostra vera immagine: non quel che pensiamo di essere, o che vogliamo essere, o che gli altri pensano che siamo, ma quello che siamo realmente. Come diceva papa Francesco ad Emanuele nella parrocchia di Corviale, è guardando te che io vedo chi era tuo padre. Prima inizieremo a guardarli, ad ascoltarli, e a cercare risposte, meno tempo perderemo.