Infanzia resa è l’ultimo libro di poesie di Sebastiano Aglieco, recentissimamente pubblicato da Il leggio Libreria Editrice nella nuovissima collana Radici curata da Gabriela Fantato. Il libro si apre con un testo in cui il poeta, maestro elementare, racconta di come il giorno della presentazione dei saggi di fine anno la Polizia abbia fatto irruzione nei locali della sua scuola per chissà quali controlli. I suoi alunni, in piedi sulle sedie con le braccia incrociate al petto, hanno ripetuto a voce alta uno dopo l’altro: oggi gli adulti mi hanno impedito di presentare il mio spettacolo.
Il libro si apre così con un testo in cui viene immediatamente dichiarata l’esposizione della fragilità come una sorta di manifesto di poetica. Lo stesso titolo della raccolta, costellata anche da numerosi testi che gli alunni di Aglieco hanno scritto nel corso di questi anni all’interno di alcuni straordinari percorsi didattici, richiama del resto al concetto di resa. Che significa in realtà, per gli adulti, il compito di non porsi più domande retoriche e di tornare al pensiero semplice dei bambini che nella scuola insegnano ai grandi perché questo è lo spazio sacro dell’infanzia/ qui si fermano le prime parole del mondo/ qui si beve l’acqua buona della festa della vita./
Chi è il maestro? Chi impara veramente nella scuola? Chi insegna e come? In questo libro appassionato e intenso, crudele e verissimo, ogni pagina rivela piccoli miracoli quotidiani che avvengono nello spazio sacro di un incontro. Riporto qui per intero la poesia Animae a pag 18 del libro:
Ci sono momenti in cui vi amo veramente/ mentre atterrate la neve dagli alberi e giocate/ alla ricerca del vostro vero nome/ -riporta la parola al suo stupore -/ Io non so cosa sia, oggi, questa luce che si/ apre al bianco, non conosco le parole che/ si fermano violente sulla fronte:/ conosco le mammole, quando viene primavera/ e una regina le libera dal dolore/ mentre, nel cielo di dicembre/ si alza forte l’appello a una giustizia per tutti./ Oggi scrivete come quegli uccelli che/ incidono il loro destino sulla neve/ guardate un paesaggio dall’alto/ fatto di carbone e fango/ poi scavate la terra irredenta, chiedete/ che un nome si alzi tra le fronde del/ pino appuntito, come un piccolo dolore.
Intanto diciamolo forte e chiaro: oggi si scrive mediamente bene in poesia, ma non ci interessa; non tutta la poesia abita dentro il battesimo dell’esperienza; non tutta la poesia, anche quella scritta mediamente bene, nasce da un luogo in cui si prende sul serio la chiamata del mondo. Non tutta la poesia è in grado di andare ovunque ci siano cose, uomini e mistero e risponde con verità al destino a cui si è chiamati. E la poesia invece, quella vera, è sempre una risposta a una vocazione, a una chiamata che la vita fa. Come testimoniano questi umili e splendidi versi di Aglieco.
Il maestro è uno che ti fa coraggio e che vorrebbe abbracciarti per mille anni, è lì che ti accompagna e ti guarda tirare giù la neve dagli alberi, un lavoro in cui tu, bambino o ragazzo, cerchi di imparare chi sei, di conoscere il tuo vero nome. Ma intanto il maestro, come già diceva Montale, non sa, come te, le parole; come te guarda il mistero dei fiori liberati dal dolore da chissà quale regina: il maestro è lì insieme a te, disposto a lasciarsi ferire da tutto quello che viene. Come te scrive adesso il maestro e il poeta: come te che hai trovato il nome da dare a qualcosa che hai visto tra gli alberi e magari ti sei ferito nella ricerca; così nascono le sue parole sulla carta, ogni volta come un piccolo dolore. E scrivere è qualcosa di essenziale e così poveramente, miseramente inutile: tu e lui come gli uccelli incidete il destino mica indelebilmente e per sempre, ma come sulla neve, nel desiderio, colmo di una pietà vasta come un paese, di una giustizia per tutti.
Maestro, cosa succedeva quando non c’ero ancora? Questa è una delle tante frasi dei suoi alunni che Aglieco ha voluto inserire nel libro. E il maestro prende sul serio questa domanda e tutte le altre e non finge: il maestro è quello che per primo si lascia trafiggere e crocifiggere dal mondo e dalla sua parola interrogante. Di fronte alle cose e allo sguardo degli alunni, quasi feroce nella sua ingenua determinazione, egli non può che arrendersi. Ed ecco il senso del titolo: è il poeta, è il maestro che per primo si arrende, alla forza, all’insorgenza di quello che accade. Cito ancora un testo della raccolta:
Vengono gli alberi, altissimi e fermi, assenti/ a volte se ne vanno così, come sono arrivati/ cadono con un tonfo, ed è il grido di/ tutto il mondo nella resa./ Non vogliono niente/ essere solo in questo terrore della/ luce, ascoltare la linfa che, salendo/ ci allontana dalle nostre radici.
Un maestro sta con te sempre, è lì prima di te quando hai paura, è lì a indicarti l’istante velocissimo in cui ogni cosa è splendente. E, come dice sempre un alunno alla pagina 58 della raccolta, sei innocente/ se hai/ un maestro.
Le parole di questo libro nascono nella casa del grande cedro, nascono di notte e giungono a noi da un filo spinato e ci aprono a una comprensione nuova del mondo e di ciò che è necessario nel rapporto che dentro il mondo istituiamo con gli altri e, in particolare, nel rapporto educativo. Aglieco ce lo insegna come deve fare un poeta e un maestro vero. Cioè ce lo con-segna, condividendo con noi lettori e con i suoi alunni il misterioso compito di dare un nome alle cose. Ancora una volta è un poeta a dirci meglio chi siamo, chi è un maestro, di che cosa i nostri alunni e noi stessi abbiamo bisogno. Come già voleva Betocchi, in una sua grandiosa poesia: Ciò che occorre è un uomo/ non occorre la saggezza./ Ciò che occorre è un uomo/ in spirito e verità;/ non un paese, non le cose/ ciò che occorre è un uomo/ un passo sicuro e tanto salda/ la mano che porge, che tutti/ possano afferrarla, e camminare/ liberi e salvarsi.
Acquistare questo libro prezioso sarebbe, per gli insegnanti di ogni ordine e grado, davvero un buon modo di spendere una piccola parte del buono scuola; sarebbe un bel modo di dire grazie per lo spettacolare e difficilissimo compito che abbiamo e che, in nessun corso di aggiornamento degli ultimi anni, per esempio, nessuno ci ha mai raccontato con tanta intensità e commozione.