I tempi che corrono sono ricchi di preoccupazioni e per la scuola, se è possibile, ancora di più.
Questo giornale ne dà quotidiana testimonianza. Non pretendo di farne un elenco completo, ma soltanto citarne alcune che più mi colpiscono.
In primo luogo un’apparente schizofrenia del sistema. Dico apparente perché spesso mi sorge il dubbio che vi sia in realtà una regia occulta; una specie di “grande tessitore”, certo con una capacità di visione (tutta sua) e intelligenza (spesa male) non comune di questi tempi. Schizofrenia con cui si riesce, per esempio, a confezionare una legge, addirittura predefinirla “Buona” e ad affossarla, nei suoi punti più significativi, nel breve volgere di tempo e attraverso dispositivi subordinati alla legge stessa.
Se si pensa poi che il tutto è avvenuto con governi sostenuti da una sostanzialmente invariata maggioranza parlamentare, si rimane veramente sconcertati. Allora come non preoccuparsi delle nuove prospettive che avanzano?
Sebbene non se ne senta la necessità, all’orizzonte si profilano nuove proposte di intervento sull’assetto della scuola e della didattica che sembrano strabiche nei confronti di quanto è in atto e che a volte anima, in modo serio, il dibattito sulla scuola. In particolare il nodo della durata del ciclo secondario che, al di là dei pareri contrastanti che suscita, viene affrontato con l’interessante metodo della sperimentazione, da cui si spera si possano trarre adeguate considerazioni.
Sembra però che il tutto sia affrontato esclusivamente con una preoccupazione ragionieristica di calcolo di ore e anni oppure di architettura del sistema del primo ciclo, con assorbimento dell’ex scuola media nella scuola primaria e l’adozione di fantasiose soluzioni che si spera essere solo frutto di improvvisate dichiarazioni.
Manca una semplice constatazione e una conseguente domanda. Constatazione e domanda che, tra il resto, faticosamente, in modo embrionale, con piccoli tentativi di risposta si affacciano nella scuola.
La constatazione riguarda l’enorme disponibilità di conoscenza, facilmente accessibile, alla portata di tutti e contemporaneamente l’assenza di una bussola che favorisca la navigazione in questo sterminato oceano.
La domanda riguarda allora quanto di tutta questa conoscenza debba essere veicolato dalla scuola e soprattutto su quanto di questa conoscenza è possibile riflettere, cioè attivare la ragione degli studenti siano essi bambini, ragazzi o adolescenti, nel tempo a disposizione, realisticamente, di un corso di studi comprensivo dei due cicli.
Detto diversamente, desideriamo avere di fronte alunni che ci restituiscano, più o meno correttamente, le numerose spiegazioni di un monte ore sempre più dilatato oppure intendiamo far giungere all’acquisizione di nuclei fondamentali attorno a cui possa essere costruito l’apprendimento personale, che non potrà che durare tutto l’arco della vita?
E’ proprio su questi nuclei allora che occorre intendersi, prima ancora di immaginare nuove strutture, contenitori o distribuzione di materie; abbiamo il dovere, infatti, di consegnare alle nuove generazioni un grande patrimonio, senza snaturarlo e senza renderlo indigesto e perciò non assimilabile.
Patrimonio peraltro che non può essere lasciato in eredità solo a chi risulta motivato; se di ricchezza si tratta va adeguatamente distribuita e in giusta misura.
Come fare? Quale consiglio fornire, piccolo e modesto, a chi si appresta a governare? Ascoltare e guardare la scuola che c’è e i tentativi, tanti, che vengono compiuti e le risposte date alla domanda di apprendere, esplicita o meno, di chi è motivato e di chi lo è meno, di chi è dotato e di chi non lo è. Dotarsi di coraggio e tornare a puntare con pazienza sull’autonomia vera. Anche questa ha bisogno di essere nuovamente sperimentata con ampi margini di movimento.
A quel punto sarà forse più semplice decidere sulle questioni importanti, potenziare le scuole nel loro compito e preoccuparsi di monitorare gli esiti.