È bello imbattersi talvolta in una parola nuova; nuova come quelle che conosci ma che ogni tanto hai bisogno di riguadagnare. A offrirtela è Luca De Biase, che il 15 febbraio ha lanciato un appello dalle pagine del suo blog: “Se ti capita di poter contribuire al progetto di una scuola nuova”. In un mondo in continua evoluzione, dove le esigenze di aziende e persone cambiano, dove anche i formatori hanno bisogno di formazione nuova per rispondere alle sfide del contesto socio-economico in cui ci troviamo, De Biase chiede: “da dove si parte per fare una scuola nuova?”.



Seguendo le fila del suo ragionamento, si arriva alla fine a quella parola che fa tanto bene alla scuola, perché ne descrive la vera natura, ed è la parola “comunità”.

È, questa, una parola presente nelle premesse delle Indicazioni nazionali. “Comunità educativa, comunità professionale, cittadinanza” è il titolo di un paragrafo in cui, dopo la descrizione del compito della scuola nel nuovo scenario, si definisce il curricolo come il documento che “esplicita le scelte della comunità scolastica e l’identità dell’istituto”.



La scuola è, a tutti gli effetti, un luogo dove l’alunno è inserito in una comunità, un luogo in cui una comunità di adulti coopera al suo sviluppo in accordo con la comunità familiare da cui proviene; è un luogo, la scuola, dove grazie alla comunità scolastica di cui fa parte l’alunno entra in contatto con la più ampia comunità “umana e civile”, cui partecipa già nel presente e alla quale, già nel presente, gli è chiesto di contribuire. La vita della scuola è complessa, articolata su piani e livelli di lavoro diversi e necessari l’uno all’altro (didattica, segreteria, gestione delle risorse, rapporti con il territorio…). Sono molti i processi, spesso invisibili, che permettono che l’ora di lezione e le diverse attività della scuola esistano, salvaguardando la possibilità del successo formativo ed educativo delle persone in essa coinvolte.



Se mi capita dunque di contribuire al progetto di una scuola nuova, da dove comincio?

Proprio da lì, da quella parola; da quella parola a volte sommersa da preoccupazioni di altra natura, ma dalla quale sorge ogni cosa; da quella parola il cui cuore che batte è un’altra parola, la parola “persona”, cioè un essere umano in rapporto, un uomo con un volto nel mondo, protagonista assoluto di ogni reale processo di formazione.

La questione allora si fa radicale, e chiede a tutti coloro che operano nella scuola la consapevolezza che il loro lavoro ha un orizzonte più vasto, che il particolare che hanno tra le mani è parte di un’opera grande, che non può essere fatta che insieme. È da questa presa di coscienza che sorge una comunità, ed è solo da qui che la scuola può diventare una comunità reale in cui è favorito quel “processo che porta le persone a trovare il modo di esprimersi compiutamente nella società di oggi e di domani” (De Biase).

Benché nessuna istituzione possa sostituire la disposizione d’animo al lavoro comune e l’apertura al dialogo che dalla persona traccia una strada verso la comunità e vi ritorna più ricca, in uno scambio reciproco, ritengo che qualche strumento che possa aiutare ad aprire questo cammino ci sia. Servono soldi e risorse, lo so, ma forse è il momento di riflettere con attenzione sulle priorità che il nostro sistema scolastico deve affrontare.

Indico di seguito quattro punti che emergono in me dal lavoro dentro la scuola.

1. Programmazione condivisa anche alla scuola secondaria. Il vecchio Ccln, confluito nell’ipotesi firmata da Aran e sindacati nel febbraio scorso, all’art. 28 prevede che i docenti di scuola primaria abbiano, in aggiunta alle 22 ore settimanali di insegnamento, due ore dedicate “alla programmazione didattica da attuarsi in incontri collegiali dei docenti interessati, in tempi non coincidenti con l’orario delle lezioni”. Estendiamo le ore di programmazione anche al contratto della scuola secondaria, creando momenti più strutturati delle importanti ma sporadiche riunioni di materia previste nelle attività funzionali all’insegnamento; creiamo spazi in cui i docenti della stessa disciplina possano confrontarsi nel breve periodo sulle scelte operate, verificare passi e strumenti con la regolarità necessaria al cammino dell’educazione.

2. Più spazio ai consigli di classe per l’interdisciplinarietà. Una volta, leggendo le poesie di Ungaretti in parallelo al lavoro di storia sulla prima guerra mondiale, un alunno mi chiese che materia stessimo affrontando. La cattedra di lettere ha questa fortuna: è facile trovare legami, proporre questioni e problemi che, interessando più ambiti, mostrino la vera natura della conoscenza. Pensiamo a dei consigli di classe in cui condividere con i colleghi il panorama della propria disciplina per fare e promuovere una reale esperienza di interdisciplinarietà e progettare percorsi unitari per le proprie classi, condividendo strumenti, visioni e strategie per la strada comune. 

3. Compresenze, punto di forza del lavoro comune. Le nuove sfide del contesto socio-culturale chiedono sempre più, come dice De Biase, di formare persone “con una mentalità strategica”. La direzione verso cui sta andando la scuola è quella della didattica per competenze, trasversali per natura alle discipline. Abbiamo bisogno di momenti di compresenza in classe, affinché docenti diversi possano mettere insieme le diverse competenze disciplinari, promuovendo un reale dialogo tra le discipline. Nella complessità crescente delle classi della scuola italiana, sempre più ricche di bisogni educativi speciali, di problematiche e della necessità sempre più viva di una personalizzazione dell’apprendimento, quella della compresenza sarebbe poi una straordinaria risorsa per guardare più da vicino gli studenti e i loro bisogni e proporre attività ed esperienze significative e pertanto efficaci.

4. Una guida per la comunità educante: il ruolo del dirigente scolastico. Non c’è comunità se non c’è guida. Ridiamo al dirigente scolastico il ruolo didattico ed educativo che gli compete, alleggerendo il peso delle incombenze burocratiche e amministrative da cui spesso è sommerso. È comprensibile che nel corso degli anni il profilo del Ds si sia adeguato alle trasformazioni della pubblica amministrazione e abbia assunto su di sé diverse funzioni. È necessario inoltre che tutti gli aspetti della vita scolastica trovino in qualcuno una visione d’insieme; tuttavia spesso ho l’impressione che si corra il rischio di equivocare la natura della scuola. Essa infatti, per quanto possa assomigliarvi nella gestione di fondi e risorse, non è sovrapponibile ad un’azienda con profitto e guadagni.

Il 10 maggio 2014, quando incontrò il mondo della scuola, Papa Francesco ricordò un proverbio africano denso di vero e di sano realismo: “Per educare un figlio ci vuole un villaggio”. Rimettendo al centro la necessità di una stretta collaborazione tra scuola e famiglia, disse che “la scuola è un luogo di incontro” nel cammino in cui siamo tutti. È di un luogo così di cui abbiamo bisogno di prenderci cura, “per conoscerci, per amarci, per camminare insieme”, perché ognuno di noi possa realmente contribuire, costruendo sé in relazione, al bene comune.