Visto che Mattarella, Di Maio e Salvini hanno parecchie difficoltà a dare all’Italia un governo, vorrei proporre loro di eliminare un problema, quello del ministro dell’Istruzione. Sì, vorrei proprio suggerire di non nominare il ministro di viale Trastevere, perché la scuola non ha bisogno di un ministro. Lo dimostra il fatto che in questi mesi in cui di fatto non vi è stato alcun ministro, la scuola ha funzionato benissimo e per un motivo preciso, che (quasi) tutti si sono assunti le loro responsabilità e le hanno portate avanti, fino in fondo. Questo dovrebbe far riflettere: che i dirigenti abbiano svolto bene il loro mandato, che gli insegnanti siano stati più che mai impegnati a terminare gli impegni annuali, che gli studenti abbiano voluto sfruttare a pieno l’occasione che viene data loro per imparare, è un segno incoraggiante, vuol dire che la scuola non va avanti per le riforme politiche, ma per la responsabilità di chi in essa vive.
Ciò che è successo in questi mesi, che nessuno abbia richiesto la presenza di un ministro, è significativo di ciò che chiede chi vive la scuola: semplicemente la libertà di esserci e di prendere iniziativa. Che vi sia invece un ministero dell’Istruzione significa che è lo Stato a dover fare la scuola, a gestirla e organizzarla, tanto che il fatto che vi sia una scuola libera è una gentile concessione dello Stato.
Invece sarebbe ora di riconoscere che la scuola non è dello Stato, ma è di chi la fa e di chi ne usufruisce, quindi di genitori, dirigenti scolastici, insegnanti, studenti, personale non docente; sono loro i protagonisti dell’avventura scolastica, dell’impresa educativa. All’origine della scuola non vi è lo Stato, ma il bisogno educativo che è domanda e che cerca una risposta. Aver sostituito questa dinamica naturale con l’idea della scuola di Stato è il portato della modernità, che in nome di un diritto e dunque sulla base di una esigenza di giustizia — la scuola è per tutti — ha stabilito che lo Stato è l’unica realtà capace di garantirlo (la storia dimostra che non è vero: quante ingiustizie nel campo della libertà di educazione!).
La situazione attuale, dimostrando che la scuola può andare avanti bene senza un ministro, mette in discussione anche il dogma moderno, che attribuisce allo Stato il compito di istruire e di educare. A questo punto sarebbe interessante ribaltare la questione e attribuire ai soggetti della scuola il compito non solo di fare quanto è di loro competenza, ma anche di giocare la loro responsabilità fino a inventare strade nuove. E oggi vi è quanto mai bisogno di strade nuove, che non si trovano distruggendo quello che c’è ma costruendo sulle macerie di una realtà scolastica colpita come Damasco dai missili di Trump.
La scuola infatti è sottoposta a bombardamenti da ogni parte, demolita più di quanto abbia fatto il ’68, paralizzata dai gas che riducono l’apertura e la dinamica della ragione. Vi è bisogno di aprire strade nuove, di parlare al cuore e alla ragione, di tentare avventure più coinvolgenti di quelle attuali che sono in crisi. Lo evidenziano fatti ripetuti, che dimostrano che i ragazzi di oggi sono impermeabili a spiegazioni, ma vengono colpiti quando è in gioco l’umano. E la strada della conoscenza che cosa è se non la mossa dell’umano, se non la curiosità che mette in moto una bellezza incontrata?
In questa scuola che parte dalle idee e dalle teorie urge più che mai un cambiamento di approccio. Oggi bisogna partire dall’esperienza. E’ la novità di tanti insegnanti, che di fronte alle domande dei loro studenti sono impegnati in una entusiasmante partita educativa. Per questo spero che Di Maio e Salvini non nominino un ministro dell’Istruzione, anche perché avrei paura di un ministro sia dell’una sia dell’altra parte: pur in modi diversi sarebbe un ministro pronto a dirci cosa dobbiamo fare, mentre la scuola ha bisogno che i protagonisti della sua vita siano studenti, insegnanti, genitori e dirigenti.