La “stagione Invalsi 2018”, aperta 4 aprile con le prove Cbt (computer based test) della scuola secondaria di primo grado e proseguita con il cartaceo della primaria, si chiuderà con il Cbt delle secondaria di secondo grado il 19 maggio. Gli esiti in termini di valutazione degli apprendimenti saranno oggetto di apposita riflessione al momento dovuto, per ora si può cercare di valutare criticamente sia la diffusione della somministrazione sia come si è giunti alla somministrazione stessa.
Le percentuali di somministrazione delle prove, come da comunicato stampa Invalsi, sono per la primaria quasi del 98%; il precedente comunicato Invalsi, relativo alle prove concluse ad aprile per la scuola secondaria di primo grado, segnalava che grazie alla collaborazione dei dirigenti, solo otto scuole in tutta Italia hanno dovuto ricevere dall’istituto di rilevazione la necessaria strumentazione informatica temporanea per la somministrazione delle prove, essendo del tutto sprovviste. La secondaria di secondo grado è in corso, e i dati forniti da Invalsi indicano che tutto procede.
Tutto bene, quindi; schiere di bambini hanno preso fascicolo e penna e compilato tutto, compreso il questionario con domande di “individuazione del campione” che ha suscitato, per la domanda relativa alle aspettative dei “piccoli”, l’immediata reazione innanzitutto del docente che ha fotografato la domanda e l’ha messa in rete; opzioni “consumistiche” (che lavoro, quanti soldi ecc.), si è detto, certo opzioni da “adulto”, e che non riflettono il bisogno di giornate piene e belle ora che caratterizza soprattutto il bambino.
Anche gli adolescenti si sono recati o si stanno recando in aula informatica (provvisoria, stabile, con pc portatili acquistati per lo scopo, da mantenere in carica oltre la durata della batteria e quindi collegati alla rete elettrica) oppure lavorano sui tablets in dotazione, tutti dipendendo dalla stabilità e velocità del collegamento internet, tutti alle prese con la gestione di una prova — mi limito ad inglese — con testo di lettura e domande in una organizzazione spaziale diversa da quella cartacea e con un audio che, al di là della qualità della registrazione iniziale, “salta” ogni volta che la connessione “salta”.
Nulla di nuovo sotto il sole, verrebbe da dire, per inglese, anche se il test Invalsi di inglese si è affacciato solo ora in modo sistematico in tutti gli ordini di studio; molte certificazioni internazionali sono sia computer che paper based, anche se Ielts, la più diffusa, è offerta computer based solo in Australia, e comunque per quasi tutte rimane la possibilità di scegliere, individualmente, se farla paper o computer based. Inoltre le piattaforme su cui sono accessibili i libri digitali permettono di scaricare le risorse audio e video sul tablet del docente per il loro utilizzo con Lim. Certo, sempre ammesso che le credenziali di accesso funzionino, che il download vada a buon video, che i collegamenti via cavo siano tutti al loro posto sulla Lim/pc/tablet , che le funzionalità siano sempre le stesse e non cambino da aula ad aula (cosa possibile se la scuola si dota man mano della dotazione informatica, con le risorse che ha, e aggiorna man mano), insomma, che l’aspetto tecnico, si direbbe, sia performante. Tecnico e, se non materiale in senso stretto, certamente reale, e che comporta tempo ed energie per i docenti non il giorno della somministrazione delle prove Invalsi, ma durante le ore di lezione.
A meno che, come già sottolineato, non si parta anche per inglese dalla fine del processo, la valutazione degli apprendimenti attraverso prove standardizzate, per attivare tutte quelle azioni che altrimenti — per inerzia, pigrizia, rifiuto, impedimenti prima invalicabili, quali quelli delle otto scuole “salvate” da Invalsi — non si sono mai attuate. Che si tratti della dotazione informatica, della connessione, della somministrazione stessa di prove di competenze (!), c’è qualcosa di pedagogicamente sbagliato nel partire non dall’inizio della filiera ma dalla sua fine. Le ragioni didattiche reali degli atti che si vanno a compiere non sono comprese, in barba a tutti i concorsi per i docenti per i quali vengono preparate unità didattiche il cui scopo è quello di far pianificare con ragioni, con uno scopo razionale, l’azione didattica in classe e con la classe, inclusione compresa, e in barba alle programmazioni debitamente compilate ad inizio anno.
Il docente è obbligato a compiere due azioni, in teoria parte del proprio background formativo in quanto docente abilitato e (prima o poi) di ruolo, che allo stato attuale delle cose rischiano di essere per molti l’una estranea all’altra: la prima è programmare la sua attività didattica, di certo in base alle Indicazioni nazionali — e più spesso a ragion veduta, ma a volte per obbligo, a volte per inerzia — in base alla tradizione didattica dell’istituto di appartenenza. E la seconda è preparare i suoi studenti per la somministrazione di prove standardizzate elaborate da altro ente, che vanno a valutare l’efficacia degli apprendimenti che il docente stesso si propone di attuare con la sua programmazione.
A riguardo della possibile distanza fra la programmazione del docente, quella che si suppone fondi il suo operare quotidiano nelle classi, e la prova standardizzata Invalsi, le lingue straniere sembrerebbero essere più avvantaggiate di altre discipline, visto che tutti i docenti ragionano degli stessi livelli di competenza (in base al Common European Framework), che le certificazioni internazionali certificano le abilità dedotte dai vari enti proprio in base al Cefr, e che i manuali più diffusi per la lingua inglese sono tutti rigorosamente impostati sulle quattro abilità più la grammatica presentata in forma deduttiva (analisi di un campione rappresentativo di lingua desunto dai materiali di ascolto e/o lettura, e descrizione dell’uso).
In realtà la programmazione didattica del docente comprende anche “altro”, e l’ingombro di questo “altro” (diverso a secondo del percorso di studi) nel mondo reale dei 3-hours-per-week-learners, cioè dell’orario settimanale di tre ore per tutti gli ordini di studio ad eccezione del liceo linguistico, comporta delle scelte. Una di queste scelte è “espellere” dalla programmazione (non nel senso della rinuncia totale di una certificazione, opzione in realtà molto reale) la preparazione alle certificazioni internazionali, concentrandola in corsi pomeridiani perlopiù affidati a docenti madrelingua, e anche qui con gradazioni diverse; se il corso pomeridiano è di familiarizzazione con il formato delle certificazioni, esso dovrebbe essere di breve durata. Se invece è nel corso pomeridiano che le abilità vengono di fatto sviluppate, allora è inevitabile che il corso non solo sia lungo, ma anche che il docente titolare del corso, il cui mandato formale rimane “preparazione al superamento della certificazione”, si concentri su quelle prove standardizzate ed addestri alle stesse.
Trasferendo questa situazione alle prove Invalsi, attuate o da attuarsi, cosa potrà accadere, anzi, cosa è già accaduto, nelle classi? Il docente ha avuto due scelte, più o meno a gennaio 2018: la prima, “espellere” l’Invalsi dalla propria programmazione, ignorarlo completamente, avendo verificato che quanto aveva già fatto e stava per fare collimava con quanto sembrano essere gli obbiettivi degli esempi di prove. Avrà operato questa scelta sulla base degli esempi di prove fornite a gennaio 2018 e sulla base della propria esperienza di somministrazione di prove Cbt, cioè di solito sul nulla, al massimo l’indicazione di siti dove esercitarsi sulle abilità o sulle certificazioni in senso generale, che lui o lei stesso prova e poi consiglia agli studenti; una base troppo debole per una decisione così radicale. La seconda scelta, “introdurre” l’Invalsi nella propria programmazione, anch’essa basata sugli stessi fattori, lo avrà portato a fare delle esercitazioni, forse anche una prova valutata di fatto operando la stessa scelta del docente affidatario di corso pomeridiano di preparazione alle certificazioni: concentrarsi sulla preparazione alle prove, constatando a seconda delle situazioni che queste sono mediamente difficilissime per i suoi studenti, oppure facilissime, oppure corrispondenti al livello medio della sua classe.
Quale riflessione didattica potrà mai nascere da questa operazione, dove manca il rationale, il senso condiviso delle prove, e chi dovrebbe attuarla, se il razionale stesso è assente perché non condiviso? Ma se le prove sono ben fatte, come sostiene l’Invalsi, sono somministrate in grande quantità e quindi su campioni validi, misurano gli apprendimenti, certificano le competenze, perché non condividerne il rationale e perché non pensare ad una loro incidenza pratica?
La presenza di prove Invalsi nei punti di passaggio del percorso di istruzione, seconda e quinta classe della primaria, classe terza della secondaria di primo grado, classe seconda e in futuro quinta della secondaria di secondo grado, porterà per questi anni a una svalutazione delle prove di ingresso, ad esempio? Alla loro scomparsa? Se gli alunni escono dalla primaria con una prova Invalsi sulle abilità unica ed uguale per tutti, perché fare il test d’ingresso in prima media? Possibile che un livello di competenza decada nella pausa estiva tanto da dover essere riverificato? Ove si abbia una scadenza della certificazione, questa è di circa due anni, perché non lo stesso per il test Invalsi, limitatamente alle abilità testate, ovviamente? Oppure i certificati delle competenze sono solo carta per i cestini della scuola di grado superiore, per sfiducia verso… chi? l’idea stessa che si possa e debba certificare le competenze? Il certificatore delle competenze per difetto di comunicazione? Il test del certificatore perché mal fatto, o non condiviso nella sua motivazione profonda?
L’Invalsi non è nata per indicare strategie di miglioramento, ma “solo” per verificare i livelli di apprendimento; è pertanto legittimo chiedere che il rationale che sottosta alle prove sia condiviso, non solo gli esempi, e che a questa condivisione venga data spazio nella formazione dei docenti stessi, ad opera dello stesso Invalsi, nonché che si ragioni della utilità dei tests stessi se non per le prove di ingresso, per la programmazione delle attività didattiche. L’Invalsi c’è e resterà, e gli scioperi bianchi invocati in rete si accompagnano, ironicamente, a suggerimenti su come prepararsi ai tests; che questi almeno siano occasione di riflessione didattica, e non solo di esercitazioni.