Se i programmi possono avere un qualche peso su quel che sarà l’effettiva azione politico-amministrativa, fa paura leggere il capitolo scuola dell’ultima versione del cosiddetto “contratto” tra Lega e M5s per il prossimo governo. Paura, perché non stiamo parlando dei rifiuti, del trasporto pubblico o della burocrazia europea, ma del futuro dei nostri figli, del bene più grande di una nazione e di quanto dovrebbe promuovere la loro formazione umana, etica e professionale.



Fa paura quindi leggere un incredibile mix di vaghezza e contraddizioni, di quelle che il testo ci passa come “proposte” per rimettere la scuola “al centro del nostro sistema Paese” attraverso “la buona qualità dell’insegnamento”. L’unico obiettivo chiaro (e ripetuto ben cinque volte) è l’abolizione delle legge 107/2015 (“Buona Scuola”) e delle sue conseguenze applicative.



Ma cosa debba subentrare al suo posto,  una sana e obbiettiva lettura del testo non permette di capirlo.

1. Alcune affermazioni fanno sorridere tanto sono scontate e banali. Leggere che “a tutti gli studenti deve essere consentito l’accesso agli studi, nel rispetto del principio di uguaglianza di tutti i cittadini” porta a pensare che gli estensori stiano parlando di un sistema scolastico di un paese sottosviluppato. Dov’è che accade in Italia che a qualche studente non venga consentito l’accesso agli studi? Dichiarare poi che “la cultura rappresenta un mondo in continua evoluzione” e che sarebbe “necessario che anche i nostri studenti rimangano sempre al passo con le evoluzioni culturali e scientifiche” assomiglia a un vecchio piatto decotto servito a tavola mentre stavi aspettando qualche nuova prelibatezza.



2. Sostenere che la questione  della scuola italiana stia nel “ripartire innanzitutto dai nostri docenti” sembrerebbe affermazione più che condivisibile. Peccato che a questo obiettivo non segue uno straccio di proposta concreta. O meglio, l’unica che si possa leggere ha sempre a che fare con l’abolizione della “Buona Scuola”: l’eliminazione dell’istituto della chiamata diretta che ha permesso (sia pure in modo sbrigativo e precario) ai dirigenti scolastici qualche scelta di professionalità un poco inerente i bisogni delle scuole. Per il resto si parla con terribile superficialità e sfasamento storico di “revisione del sistema di reclutamento dei docenti… per garantire da un lato il superamento delle criticità che in questi anni hanno condotto ad un cronico precariato”. Si può non condividerne le modalità, ma negli ultimi tre anni le tabelle Miur mostrano la più alta immissione di docenti in ruolo (90mila). Il precariato ha origini ben lontane e strutturali al sistema. Ma su come rimediarvi “nebbia in Val Padana”!

Sempre sul reclutamento dei docenti si accenna all’esigenza di “nuovi strumenti che tengano conto del legame dei docenti con il loro territorio, affrontando all’origine il problema dei trasferimenti”. Ma su come fare neppure un accenno.

Si suggerisce “un efficace sistema di formazione” senza una sola parola che ne accenni al funzionamento.

L’unica proposta chiara in fatto di docenti la si trova laddove si promettono “strumenti efficaci che assicurino e garantiscano l’inclusione per tutti gli alunni ai quali va garantito lo stesso insegnante per l’intero ciclo”. Con un piccolo problema: e se quell’insegnante si rivelassi inadeguato o incapace?

3. In fatto di contraddizioni il testo lascia solo l’imbarazzo della scelta, proprio a causa della vaghezza del testo e per la (voluta?) errata informazione. La denuncia del “fenomeno delle cosiddette classi pollaio” avrà effetto giornalistico ma nessuna fondatezza statistica: i dati Eurydice ricordano che la media europea è di 21,1 alunni per classe (la più alta è la Germania con 24,7) mentre l’Italia si attesta a 21,4. 

Come conciliare poi la precisa richiesta di adeguata preparazione professionale dei docenti con la denuncia del “problema delle maestre diplomate”, cioè dell’ultima campagna di ricorsi (nei quali il nostro sindacalismo scolastico è super specializzato) tesa all’ennesima immissione in ruolo senza nessuna verifica all’adeguatezza della preparazione posseduta?

Come conciliare la pur vaga proposta di “nuovi strumenti che tengano conto del legame dei docenti con il loro territorio” con la precisa richiesta del programma di abolire la chiamata diretta dei docenti dalle scuole, cioè l’unico timido accenno del sistema scolastico a vincolare il reclutamento dei docenti alle esigenze della scuola locale ?

4. Contraddittorio, poi, con il ritornello di fondo del programma è il riconoscimento che “la cosiddetta Buona Scuola ha ampliato in maniera considerevole le ore obbligatorie di alternanza scuola-lavoro”: ma allora non verrà applicato del tutto il tanto invocato colpo di spugna! Peccato che subito dopo si ricade nel vago e nel generico. Dopo aver letto che “quello che avrebbe dovuto rappresentare un efficace strumento di formazione dello studente si è presto trasformato in un sistema inefficace, con studenti impegnati in attività che nulla hanno a che fare con l’apprendimento” il cittadino comune si aspetterebbe il tanto atteso rimedio a simil male, anche perché i contrattisti sostengono che “uno strumento così delicato che non preveda alcun controllo né sulla qualità delle attività svolte né sull’attitudine che queste hanno con il ciclo di studi dello studente, non può che considerarsi dannoso”. Ma allora questo strumento lo aboliamo o no? e se lo dobbiamo rivedere, come dovrebbe meglio funzionare? Ma queste domande non dovete porvele, perché nel testo non c’è nessuna risposta.

5. Alla fine la lettura del breve testo non offre nessuna parola sui problemi del governo delle scuole, sulla loro necessaria autonomia, sull’inefficienza e impreparazione della burocrazia, sull’invadenza del sindacalismo scolastico, su come risolvere il problema del servizio che le scuole paritarie svolgono per il sistema e la nazione, sulla valutazione dei livelli di istruzione, sulla formazione al lavoro, sull’istruzione tecnica superiore, sulla formazione universitaria dei docenti, sull’assenza di dirigenti scolastici, sulla latitanza dei concorsi. E si potrebbe continuare ancora sull’assenza di qualche accenno a tutti i gravi problemi della nostra scuola. Persino sulla seria questione dell’inclusione ci si limita ad una breve esortazione morale.

Tuttavia questo tipo di visione su scuola e cultura non stupisce se la si inquadra in tutto il testo del “contratto”, dove fa paura non solo l’assurdo e generico rifiuto della dimensione europea, ma soprattutto l’assenza di chiare risposte alle più gravi crisi del paese (il crollo demografico, la debolezza della famiglia, il declino industriale, la fuga delle competenze). Si prosegue invece il metodo della campagna elettorale: si agitano “mostri” e vaghe promesse senza alcuna valutazione delle risorse economiche necessarie né indicazione chiara degli strumenti politici da mettere in atto.

Non solo: si andrà a nominare premier un tecnico non eletto, dopo tutte le polemiche M5s e Lega sul sistema elettorale. 

Tutto questo fa paura, specie se si debbono immaginare le azioni governative che ne potranno conseguire. Con un’aggravante: l’impostazione generale (non solo del capitolo scuola) è quella di un forte statalismo, dove non sono in alcun modo contemplati altri soggetti sociali per il servizio scolastico.  

Con la segreta speranza di essere improvvisamente smentiti da qualche rigurgito di passione comune per la nostra patria. Saprà l’attuale presidente della Repubblica far presente le gravi responsabilità che un governo deve avere nel gestire la cosa pubblica?