Tra gli argomenti di una delle prove scritte del prossimo esame di maturità potrebbe a ragione trovare un posto il tema della democrazia. Da più parti essa viene considerata in pericolo, dunque perché non porre il quesito a chi si accinge ad acquisire, superato il fatidico scoglio, una maggiore responsabilità verso se stesso e verso gli altri? In che cosa consiste un’autentica democrazia? Davvero sta morendo? Sì d’accordo, fino alla Seconda guerra mondiale in politica ancora si diffidava della democrazia, ritenuta troppo a sinistra dai liberali e troppo borghese dai rivoluzionari comunisti che diedero vita a regimi senza libertà chiamandoli “democrazie popolari”. Ma noi veniamo dopo l’esperienza dei totalitarismi di destra e di sinistra, per cui abbiamo apprezzato la sintesi cattolico-sociale tra liberalismo e democrazia, cioè tra contenimento del potere dello Stato e partecipazione del cittadino. Non è forse questo intreccio tra personalismo e comunitarismo l’origine della nostra Costituzione (“L’Italia è una repubblica democratica … la sovranità appartiene al popolo che la esercita … La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali” etc.)?
Chi oggi ha cinquanta, sessant’anni sa che la democrazia si definisce come “sistema di regole”. Innanzitutto le regole prevedono la distinzione tra le funzioni dello Stato: legislativa, esecutiva e giudiziaria. In secondo luogo, gli elettori debbono essere liberi di votare secondo la propria opinione. Terzo, nella democrazia rappresentativa esistono partiti, parlamenti e formazione di maggioranze parlamentari. Insomma da questo punto di vista la democrazia coincide con il libero gioco politico inteso in senso alto, come “confronto in pubblico con altri uomini liberi” (Arendt).
Per chi ha trenta, quarant’anni la democrazia è soprattutto un sistema che garantisce i diritti. Prima quelli fondamentali, come lavoro, libera opinione, libertà di associazione religiosa o politica. Poi quelli civili che oggi si sono allargati alla sfera della salute, della gestione autonoma e responsabile della vita, della integrità della propria privacy. In questo secondo caso, la democrazia è declinata più sul versante dell’utilità che non su quello del dovere ed ha il sapore di un prato sempreverde dove si può scorrazzare liberamente. Chi ha oggi diciotto, vent’anni e non ha fatto nemmeno il Sessantotto gode dei frutti altrui, è interessato probabilmente ad una democrazia etica, intesa come trasparenza della politica, fruibilità dei sistemi di comunicazione, esercizio del potere virtuale attraverso la Rete.
Perché sarebbe dunque in crisi la nostra bella democrazia in tutte le sue accezioni? Per rispondere guardiamo a ciò che accade nella scuola con gli organismi di partecipazione. Annualmente si vota per la scelta dei rappresentati, ma il contenuto della procedura, ossia cosa sia veramente in questione con questo gesto, non interessa più a nessuno. Il rito lo si osserva quasi subendolo, svogliatamente, pigramente, si potrebbe dire burocraticamente. Eppure la democrazia partecipativa nella scuola è stata una conquista che avrebbe dovuto arginare proprio la burocratizzazione dell’istruzione, la sua riduzione a trasmissione di un insieme di nozioni. La democrazia nella scuola avrebbe dovuto porre i germi non solo del controllo della gestione amministrativa degli istituti da parte dei non addetti al lavoro, ma dello scambio delle esperienze tra scuola e territorio, della programmazione di itinerari condivisi tra scuola e famiglia, dell’identificazione di una offerta formativa più rispondente ai bisogni di alunni e genitori. Da tempo ormai queste finalità si sono inaridite, le occasioni della democrazia scolastica si sono ridotte a forme di difesa corporativa dei diversi ruoli, in modo tale che ciascuna componente (genitori, insegnanti, alunni) agisce come agenzia indipendente.
Una di queste agenzie è costituita, per esempio, dalle Consulte provinciali degli studenti, di cui poco rifluisce presso il grande pubblico della scuola e che interloquiscono, a quanto è dato di capire, direttamente con il Miur o con gli Uffici regionali piuttosto che con la base studentesca che si limita ad eleggerle ogni due anni. La circolare di indizione della tornata elettorale per il biennio 2017-19 faceva riferimento al “rilancio del sistema nazionale di rappresentanza e di partecipazione degli studenti e delle famiglie alla vita della scuola”. Di fatto finora il lavoro delle Consulte si è esaurito nell’organizzazione di convegni sull’alternanza scuola-lavoro o giornate di riflessione sul bullismo.
Encomiabile, tra le iniziative segnalate dal sito spazioconsulte.it, il corso di formazione, concluso di recente, della Consulta provinciale degli studenti di Viterbo sulla “Educazione alla rappresentanza”. Lo spunto è interessante perché coglie un reale vuoto di democraticità nella scuola, ma la rappresentanza non è una tecnica che si insegna. Torniamo alla cosiddetta crisi della democrazia, dovuta proprio a questi processi di burocratizzazione, di cui fa parte la “democrazia ibrida” della Rete, che vediamo in piccolo nella scuola per ritrovarli in grande nella società.
Le libertà e i diritti di cui godiamo dovrebbero essere riempiti dalla cura per l’altro e dal desiderio di fare un cammino insieme in vista di uno scopo che possiamo definire “bene comune”. In altri termini, la democrazia è un grande spazio per l’educazione dell’umano, dove non si ha solo paura del presente ma si guarda con ottimismo al futuro. Come disse Vaclav Havel, “la nascita di un modello politico migliore deve prendere le mosse da un cambiamento esistenziale” (Il potere dei senza potere). Proviamo a ricordarcene in queste fasi delicate della nostra storia politica e sociale.