Tempo di scrutini, tempo di miracoli: dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, che, com’è noto, ebbe luogo circa duemila anni fa in Palestina, oggi, nelle scuole di ogni ordine e grado, si verifica la moltiplicazione dei voti e dei giudizi.

Questo “spillo”, allora, si focalizzerà su alcune insensatezze, in primis burocratiche, che spesso i docenti — stremati dopo un anno intenso, correzioni di pacchi di verifiche in extremis, recuperi e recuperini, relazioni finali, programmi da compilare, moduli da riempire, eccetera — non hanno la forza, soprattutto psicologica, ma nemmeno fisica, in alcuni casi, di contestare. E dunque, “sono cose solo formali, suvvia…”, e si compila a testa bassa.



Per prima cosa: nelle classi quinte della secondaria di secondo grado, i crediti di accesso all’esame dipendono dalla media dei voti (in cui è compresa anche la condotta); pertanto, di fronte alla possibilità di far accedere lo studente alla fascia di credito superiore, assistiamo alla moltiplicazione dei voti: “Il mio 7 passa a 8; il mio 6 passa a 7”, e così via, sono le parole che risuonano con maggior frequenza.



Inoltre, non è possibile essere ammessi all’esame di Stato se non in presenza di tutte sufficienze: pertanto è necessario che nella “strisciata” dei voti compaiano tutti 6. Ma quando mai in una classe — ipotizziamo — di liceo scientifico, su 25 studenti, tutti e 25 hanno la sufficienza in matematica? E quando mai su 27 studenti di liceo classico, non uno ha un’insufficienza in latino o in greco?

Certo, il voto finale dovrebbe attestare una sufficienza, diciamo così, globalmente intesa, in relazione al grado di maturità e al livello di partenza dello studente: e allora possiamo capire la ratio della norma di legge. Però, allora, perché è possibile segnalare che la sufficienza in questa o quella materia è stata assegnata con un voto “di consiglio”, espresso cioè da tutti i docenti del consiglio di classe (non dimentichiamo che la valutazione, ogni valutazione, in sede di scrutinio è sempre collettiva, mai del singolo docente), e segnalare che dietro quel “6” c’è una lieve carenza, e quindi il candidato è stato leggermente aiutato?



Ora, e mi viene spontaneo rivolgere questa richiesta al nuovo ministro — anche se immagino che abbia al momento incombenze ben più pressanti —, non sarebbe ipotizzabile ammettere all’esame di Stato anche quegli studenti che pure non hanno 6 in tutte le materie, posto che si tratti di carenze isolate e non gravi? Sarebbe molto più trasparente e credibile, anche considerato che spesso gli studenti vengono valutati da commissari esterni, ed è dunque sempre meglio, più lineare e più corretto che essi abbiano il quadro completo della situazione: fra l’altro, in questo modo non si creerebbero sui candidati aspettative destinate a essere deluse.

E ancora, in molti istituti si è deciso che nella scheda di fine primo quadrimestre e nelle valutazioni finali non possano comparire valutazioni inferiori al 4, che già segnalerebbe una carenza molto grave. Ma perché? Il 4, è vero, segnala una carenza grave, ma certo ancora sanabile, posto che lo studente si impegni a riprendere i fondamenti della disciplina. Tuttavia, non è corretto equiparare lo studente che, pur impegnandosi, per vari motivi ha riportato la valutazione di 4 (carenze pregresse e nella formazione di base, metodo di studio errato, difficoltà gravi in una materia caratterizzante un corso di studi scelto magari andando contro il consiglio orientativo della secondaria di primo grado) allo studente che, invece, presenta una carenza gravissima dovuta a mancanza completa di studio e di impegno.

Proprio per questo sarebbe auspicabile poter sempre differenziare i voti nello scrutinio finale, anche in funzione di una maggiore trasparenza nella comunicazione alle famiglie. Ma questa è un’altra storia.