È stato un anno, quello che si conclude, ricco di novità normative, che hanno chiesto ai docenti e ai dirigenti di tutte le scuole del territorio italiano un grande sforzo di riflessione. Sono cambiate valutazione, esami, criteri di ammissione, è stato adottato a livello nazionale il certificato delle competenze che gli alunni ricevono anche al termine della scuola primaria, sperimentato da diversi istituti scolastici già nel corso degli anni passati: un documento modellato sulle competenze chiave europee, che certifica i livelli raggiunti da ciascun alunno ed è spendibile nei successivi percorsi di studio e di lavoro. In esso si mettono in evidenza le competenze comunicative, la competenza matematica e le competenze di base in scienza e tecnologia, le competenze digitali, la capacità di imparare ad imparare, le competenze sociali e civiche, lo spirito di iniziativa e, infine, la consapevolezza ed espressione culturale, nella quale sono inserite insieme le competenze artistiche, motorie, musicali.



Da tempo la didattica per competenze si sta facendo largo nella scuola italiana: pullulano progetti e corsi di formazione per insegnanti, si moltiplicano sinceramente e con entusiasmo le sperimentazioni didattiche nelle classi, si preparano e si usano strumenti che cercano di osservare attentamente gli  alunni. È molto bello, questo, come segno della vivacità di una scuola che si interroga, si mette in gioco, ha voglia di rispondere alle sfide che il contesto socioculturale le offre, dove soft e hard skills sono sempre più necessarie per poter entrare in modo personale e creativo nel mondo del lavoro e nei vari contesti di vita. Diverse note Miur e i nuovi scenari delle Indicazioni nazionali vanno in questa direzione, e collegano in un percorso unitario le fasi della didattica, dalla progettazione alla valutazione, riconoscendo il valore di processo al lavoro educativo che docenti di ogni ordine e grado conducono quotidianamente nelle loro classi.



In questo anno di cambiamenti, ce n’è uno al momento rimasto un po’ inosservato, che per ora non ha toccato il mondo della scuola ma con il quale — io credo — il mondo della scuola si troverà prossimamente a fare i conti. Il 22 maggio 2018 il Consiglio d’Europa ha stilato una nuova Raccomandazione sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente, che sviluppa e in parte modifica quella del 2006, trasformando alcune delle precedenti diciture. 

All’inizio del testo, tra le premesse, si leggono le ragioni di questo cambiamento: in una società in continua evoluzione, “abilità quali la capacità di risoluzione di problemi, il pensiero critico, la capacità di cooperare, la creatività, il pensiero computazionale, l’autoregolamentazione” sono importanti in quanto “strumenti che consentono di sfruttare in tempo reale ciò che si è appreso, al fine di sviluppare nuove idee, nuove teorie, nuovi prodotti e nuove conoscenze”. Tra gli spunti offerti da tale documento, emersi ai miei occhi ad una prima lettura curiosa, appare interessante che si riconosca alle situazioni di apprendimento non formale e informale un ruolo fondativo per la persona: esse rivestono “un ruolo importante per lo sviluppo delle capacità interpersonali, comunicative e cognitive essenziali, quali il pensiero critico, le abilità analitiche, la creatività, la capacità di risolvere problemi e la resilienza, che facilitano la transizione dei giovani all’età adulta, alla cittadinanza attiva e alla vita lavorativa”. Viene riconosciuta, quindi, l’unità della persona, e si evidenzia allo stesso tempo la portata educativa di ogni incontro con il reale che il soggetto, giovane o meno giovane che sia, compie nei suoi passi dentro la storia.



Vedremo quale sarà la strada che compirà questa carta da Bruxelles alle scuole italiane. Intanto siamo in tempi di valutazioni, scrutini e feste finali. L’accostamento non è improprio né casuale. Non è raro che dello stesso studente docenti diversi abbiano opinioni distanti tra loro. Non è raro poi che studenti che non hanno mai studiato la matematica diano il meglio di sé ai concerti di fine anno o alle rappresentazioni teatrali. È giusto quindi magari assegnargli un livello base o iniziale nelle competenze scientifiche, o indicare nei giudizi del comportamento che è selettivo, ma senza considerare tutti gli aspetti che emergono nelle competenze trasversali anche il nostro giudizio sarebbe un giudizio a metà, anche perché le competenze emergono e si sviluppano insieme. 

Un esempio su tutti: nell’ultimo laboratorio digitale che ho condotto ho proposto un’attività di digital storytelling. Uno dei principali obiettivi che avevo era quello di sviluppare le competenze digitali dei miei studenti. Ho diviso in gruppi i ragazzi e dato loro un tema di fondo. Hanno scelto ciò di cui volevano parlare, si sono documentati, abbiamo preparato insieme la storyboard del video che volevamo produrre; poi loro hanno progettato le sceneggiature, scritto interviste e liberatorie, si sono procurati il materiale e hanno fatto le prove. Poi abbiamo girato e montato le scene. Hanno usato i pc, utilizzato la rete e vagliato le fonti, hanno usato programmi di videoscrittura e software di presentazione; abbiamo usato la Lim, e per girare la videocamera anche di un cellulare, ma le competenze che hanno acquisito sono molte di più che quelle digitali.

Questo lavoro ha reso più salda in me la convinzione che le competenze siano profondamente intrecciate e unite tra loro, e che ciò che si offre ai ragazzi non è indifferente: c’è bisogno, sempre, di un punto di paragone, di qualcosa di significativo con cui si possano confrontare, nella scelta degli strumenti, dei modi e soprattutto dei contenuti.

È uno dei compiti più importanti di un insegnante: mettere davanti ai ragazzi una meta e una strada, attenderli e camminare con loro, aiutandoli a rendersi conto dei passi che fanno. Solo così una “didattica per competenze” o, se vogliamo chiamarla in altro modo, lo sviluppo della persona può seriamente avvenire.