MATURITA’ 2018. A pensarci bene, quello che sta succedendo è da brividi. Stiamo infatti per celebrare nel nostro Paese i primi esami di Stato dell’epoca sovranista. Vi pare poco? Chissà se i celebranti (le commissioni di maturità) e i celebrati (i maturandi) sono consapevoli — probabilmente no — di stare per scrivere l’ultima pagina di un capitolo il cui seguito è un nuovo inizio. 



Immaginiamo cosa potrebbe accadere se il sovranismo populista dovesse investire di brutto anche la liturgia degli esami finali della scuola superiore. Dunque, i nuovi paletti potrebbero essere sintetizzati nel modo seguente. Prima di tutto, non esisterebbe più la Costituzione del ’48, detta Costituzione di Benigni (dal famoso elogio televisivo). Infatti i nuovi tempi suggerirebbero che sì, l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Ma la sovranità non si esercita nelle forme previste dalla Carta. La sovranità appartiene al popolo che la esercita attraverso i social. E già questo basterebbe a mettere i bastoni tra le ruote delle sonnacchiose ritualità ministeriali. Il popolo, per esempio, potrebbe pretendere di continuare a esercitare la social-democrazia tenendosi i cellulari in tasca durante le prove. Perché privare il popolo degli attributi fondamentali che oggi lo definiscono?



Secondo, non esisterebbe più lo Stato. Stato è Parlamento, dialogo, rapporto tra partiti, amministrazione condivisa della cosa pubblica. Ma nell’era sovranista non c’è la cosa pubblica (concetto superato): c’è il pubblico delle cose (concetto nuovo), nel senso che ogni faccenda delicata deve avvenire in pubblico, magari in diretta streaming online. Perché allora non trasmettere in video non solo i colloqui, ma anche gli scrutini, in modo che le commissioni siano sottoposte al vaglio della diretta, con una sorta di “var” azionata da amici e parenti del candidato di turno correggendo eventuali errori? 



Ma non solo. Nel regno del pubblico delle cose, ogni cosa tua è anche mia. Soprattutto se sono convinto che mi sia stata sottratta dai politici corrotti dell’epoca precedente. Allora, caspita!, anche il sapere deve essere condiviso e non si può ammettere che qualcuno sappia più di altri. Dunque, in una vera social-democrazia i programmi da portare all’esame nascerebbero da un contratto, in modo che non ci siano verità indiscutibili da apprendere, ma appunto nozioni basic su cui si è realizzato un qualche previo consenso.

Infine, ve li ricordate quegli esami che rendono insonne la notte che li precede, tutto sudore e stress, ma giocati alla fin fine dentro coordinate culturali riconoscibili perché eternamente ricorrenti? Fino ad ora, all’incirca, ci siamo orientati in un contesto storico-culturale determinato da alcuni presupposti. Agli studenti in fondo si è finora chiesto che sapessero riconoscere una tradizione nella quale sono vissuti, costituita dalle cosiddette materie scolastiche. Ora, in un’epoca sovranista la tradizione sarebbe da riscrivere in chiave di interesse nazionale. Dunque perché non abolire anche queste materie stantie su cui l’Europa ci fa le pulci e non sostituirle con gli interessi nazionali? 

Ecco che l’esame di Stato sarebbe allora finalmente una prova vera, in cui al candidato si chiederebbe di comporre la nazionale di calcio capace di battere la Germania o la Francia. Con la Russia sarebbe sufficiente un pareggio. Tra i candidati risultati più convincenti sarebbe sorteggiato il commissario tecnico che avrebbe competenza anche sull’inno. 

Mah, si vedrà. Per intanto teniamoci i buoni vecchi esami dell’Italia che fu sperando che il mondiale calcio non ci distragga troppo. A proposito, nell’epoca sovranista l’Italia del pallone avrebbe sicuramente il posto che le spetta, anzi alzando un po’ la voce salterebbe anche le qualificazioni.