Il neoministro dell’Istruzione Marco Bussetti, che ieri sera ha giurato nelle mani del presidente della Repubblica, è una vera novità del panorama politico istituzionale italiano. Un vero outsider che viene dal mondo della scuola, prima come docente di scienze motorie, poi come dirigente scolastico e infine direttore dell’area milanese del Miur. Insomma un vero sconosciuto che tuttavia ha il vantaggio di conoscere il mondo della scuola e non uno dei tanti professori universitari, che catapultati nel palazzo romano di viale Trastevere, tornano a occuparsi di scuola dopo averla abbandonata alla fine del liceo.
Intanto c’è da dire che la sua nomina rappresenta uno scampato pericolo rispetto allo statalismo ideologico e assistenzialista del Movimento 5 Stelle. Il partito di Matteo Salvini sulla scuola sembra avere maggiormente i piedi per terra, rispetto agli slogan dei seguaci di Grillo e Casaleggio, e Bussetti fa fare un passo in avanti anche alla sua compagine, visto che il programma sull’istruzione della Lega, già analizzato su queste pagine, era stato redatto da Mario Pittoni, un politico di razza, ma dal curriculum inadatto a occuparsi di scuola e a sedere sullo scranno più alto dell’istruzione italiana.
Bussetti ha collaborato e lavorato nel modello d’istruzione lombardo, ideato da Formigoni e poi portato avanti da Valentina Aprea, che prevede una forte autonomia della istituzioni lombarde e una effettiva parità, anche economica, tra scuola statale e paritaria, con un sistema d’istruzione pubblico molto efficiente che valorizza la libertà educativa delle famiglie. Ora il neoministro, molto vicino a Giancarlo Giorgetti, capo dell’ala pragmatica della Lega, si troverà a combattere con gli astrusi e duri ideologi del governo a cui appartiene e dovrà mettere mano a certi meccanismi della “Buona Scuola” senza però buttar via tutto quello che di buono è stato fatto in questi anni. Perché un conto è avere un approccio giacobino in nome del governo del cambiamento, e un conto è introdurre criteri di realtà e buon senso. Ad esempio Salvini e Di Maio gli chiederanno di modificare e alleggerire l’alternanza scuola-lavoro, che strutturata su 400 ore nel triennio, nei tecnici, è veramente poco efficace e troppo invasiva rispetto al curricolo scolastico. Ma abolire in toto la possibilità di fare esperienza nelle aziende, magari togliendo l’obbligatorietà e introducendo meccanismi incentivanti, è un’altra cosa.
Di sicuro il neoministro Bussetti è persona attrezzata, che sa mettere le mani nel motore e usando strumenti adeguati può riformare e migliorare là dove ce n’è bisogno. Conosce i meccanismi e di certo è consapevole che i temi del personale dell’istruzione non coincidono solo con il contratto dei precari e l’assunzione delle maestre della primaria, lasciate a casa da una sentenza del Consiglio di Stato.
Certo nel nuovo governo non mancano i Masaniello e se i vincoli di bilancio non permetteranno di introdurre subito interventi radicali su pensioni e cittadinanza, la tentazione di farsi grossi con l’istruzione è sempre presente. Ci permettiamo però di dare un consiglio al neoministro. Nel settore dell’istruzione bisogna scegliere le persone giuste, che conoscano bene il meccanismo reale e non solo quello giuridico-legislativo, per evitare di affidare l’intero sistema al giudizio esclusivo dei direttori generali e alle logiche sindacali. E poi bisogna non badare solo alle logiche di bilancio, perché è vero che l’istruzione in Italia costa più di 50 miliardi all’anno, ma è bene sapere che l’ignoranza può costare molto di più.