COMPRENSIONE DEL TESTO
Il brano tratto da “Il giardino dei Finzi-Contini”, romanzo del 1962 scritto dal ferrarese Giorgio Bassani e ambientato negli anni di promulgazione delle leggi razziali, ruota intorno allo scambio di idee tra l’io narrante, nonché protagonista della vicenda, e l’amico milanese Giampiero Malnate. L’oggetto del contendere è una valutazione sulla città di Ferrara, sfondo degli eventi: il Malnate, infatti, si prodiga in giudizi positivi, al contrario del protagonista che, appartenendo ad una famiglia ebrea, è di tutt’altro avviso. A dimostrazione di quest’ultima tesi, il protagonista racconta all’amico di uno spiacevole episodio capitatogli qualche giorno prima rispetto al loro dialogo: recatosi presso la Biblioteca Comunale come spesso gli capitava di fare fin dai primi anni del liceo, il ragazzo, che aveva sempre intrattenuto con gli impiegati del luogo un rapporto all’insegna della cordialità, si era ritrovato ad essere cacciato dalla biblioteca, sotto gli occhi dei numerosi presenti, per via di un ordine ufficiale diramato dal direttore in persona. Dopo il resoconto di questa umiliante esperienza, il brano si conclude con le lucide e amare considerazioni del protagonista, che si lamenta non solo del fatto che comportamenti come quelli della famiglia Finzi-Contini, che viveva isolata dal resto del tessuto sociale, venissero considerati anomali, ma che perfino gli sforzi in direzione di una piena integrazione fatti da persone come lui venissero censurati e reputati inammissibili, non sussistendo, in ciò, alcuna differenza di trattamento.
ANALISI DEL TESTO
Il protagonista rimprovera all’amico Malnate di esprimere un giudizio sulla città di Ferrara in virtù di impressioni superficiali, dettate non da una profonda e vissuta esperienza, bensì dal fascino che questa aveva suscitato in lui. Oltretutto, le valutazioni del Malnate nascono dalla sua condizione “privilegiata” di non ebreo, di qualcuno che non è costretto a guardarsi continuamente le spalle a causa della discriminazione etnica. Ed è proprio questo il motivo che spinge il protagonista a raccontare le sue disavventure in biblioteca: nel contesto del dibattito che si instaura tra i due, le vicissitudini del ragazzo ebreo servono a svelare un altro, più nascosto lato di Ferrara, a dimostrare che ognuno, a seconda della sua condizione, può vivere diversamente il suo rapporto con la città e con le persone che la popolano.
L’episodio della cacciata dalla biblioteca è senza dubbio il più ricco di pathos dell’intero brano. Ad amplificare questo effetto contribuiscono le impressioni del protagonista, che ci appare particolarmente ferito da due fattori in particolare. In primo luogo, il ragazzo si rammarica per il repentino cambiamento d’approccio che gli impiegati della biblioteca manifestano nei suoi confronti, passando dalla consueta cordialità all’infamante inflessibilità della negazione della sua presenza all’interno di quello spazio. In seconda battuta, a rendere ulteriormente frustrante l’accaduto è la presenza di numerosi testimoni, soprattutto “ragazzi delle Medie” come racconta il protagonista. Quell’imprecisabile numero di occhi addosso, infatti, che lo osservano raccogliere mestamente le sue cose e dirigersi verso l’uscita, sembra essere lo sguardo giudicante di un’intera società divisa probabilmente tra chi, da un lato, si è convinto della necessità di epurare le componenti estranee, e chi dall’altro, si ritrova impotente di fronte agli atti di violenza e discriminazione che vengono incontestabilmente emanati dall’alto.
L’aggettivo “ottimo”, che occorre alla riga 15 in riferimento all’inserviente Poledrelli, ha senza dubbio una connotazione umoristica. Del goffo personaggio, nelle righe immediatamente precedenti, erano infatti state elencate le sue migliori qualità: “grosso”, “mangiatore di pastasciutta”, “incapace di mettere insieme due parole che non fossero in dialetto” (rr.13-14). L’utilizzo che l’autore fa di questo elemento linguistico si rivela funzionale a sbeffeggiare una figura tutt’altro che autoritaria — per di più dotata di un discreto “pancione”, come si legge ancora alla riga 15 — che, nonostante i suoi evidenti limiti, si atteggia a ferreo ed incorruttibile giudice, cercando perfino di assumere un registro linguistico che non gli compete. È evidente come il protagonista, e di riflesso Bassani, ebreo egli stesso, desideri denunciare la vigliaccheria di coloro i quali, sull’esempio del Poledrelli, pur non avendo nulla di minaccioso, si fanno forti di provvedimenti iniqui volti a screditare chi, per una volta, agli occhi della società risulta più debole di loro.
Agli occhi del protagonista, l’emarginazione della sua famiglia risulta incomprensibile perché, in relazione alla società civile di ogni giorno, mai si era “macchiata” di comportamenti devianti rispetto alla norma. Per questo motivo, nella sua rievocazione, egli riporta addirittura alla mente la militanza del padre tra le fila del partito fascista fin dai suoi albori nel 1919 e la sua stessa partecipazione ai Guf, Gruppi universitari fascisti. In virtù di ciò, risulta logicamente inspiegabile come sia possibile che quel potere che li aveva accolti tra le proprie fila e che aveva permesso agli ebrei di integrarsi a tal punto da essere a tutti gli effetti parte della società italiana, e da assumerne usi e costumi, fosse capace di invertire totalmente la rotta e strapparli alla loro quotidianità.
Fin dagli esordi di brano, è possibile rendersi conto di una certa concitazione che attanaglia il protagonista, desideroso di esprimere il suo punto di vista rispetto a Malnate e di comprendere fino in fondo le ragioni dell’assurdità che sconvolge la sua esistenza e quella della sua famiglia. Già alla riga 1, infatti, viene sottolineato l’atteggiamento aggressivo del ragazzo nei confronti dei giudizi affrettati dell’amico milanese: “Una sera non riuscì di trattenermi” — si legge — “Certo gridai rivolto a Malnate”. L’esasperazione del protagonista, che ritiene di essere della parte della ragione, si estrinseca tramite l’innalzamento del tono di voce e tramite la sottolineatura enfatica delle righe 3 e 4, quando il ragazzo, sul punto di dare inizio alla sua analessi, ripete, in maniera ai limiti dell’ossessivo, […] “un caso successo a me, proprio a me” […], per di più con l’alternanza dei pronomi personali che marcano la distanza di opinioni con l’interlocutore: “Ma come lo vedeva, lui che parlava tanto di tesori di rettitudine” […]. Terminato il flashback, in concomitanza con l’inizio dell’ultima sequenza del brano alla riga 22, ricorrono segni interpuntivi e verbi che rimandano alla sensazione di sbigottimento del protagonista, che non si capacita di come si sia arrivati a vedere negati perfino i diritti più elementari come entrare e studiare in una biblioteca. Proprio alla riga 22 si legge l’esclamazione “E poi, e poi!” seguita dal verbo “incalzai”, in modo da suscitare nel lettore la sensazione che il protagonista sia in preda ad una agitazione che lo porterà, nuovamente, ad aumentare il ritmo della narrazione. Non è un caso che, dopo aver ripercorso la militanza paterna presso il Fascio, il protagonista si lasci andare ad una serie di interrogative retoriche che hanno come soggetti il fratello e la sorella. Precedute dalla congiunzione “e”, le domande poste dal ragazzo creano un serrato susseguirsi di dubbi e sdegni, funzionale a riprodurre la paradossale situazione che gli ebrei si trovano a vivere dopo la promulgazione delle leggi razziali. Alle righe 28, 29 e 30 si legge infatti: “E mio fratello Ernesto, che se aveva voluto entrare all’università aveva dovuto emigrare in Francia, iscrivendosi al Politecnico di Grenoble? E Fanny, mia sorella, appena tredicenne, costretta a proseguire il ginnasio nella scuola israelitica di via Vignatagliata?”. Alla riga 32, infine, il protagonista sembra abbandonare il proposito di spiegare tanta assurdità, esprimendosi con un laconico, e al tempo stesso pieno di vitalità, “Lasciamo perdere!”.
Sul finire del brano, il protagonista si rende conto di quanto paradossale e pretestuoso sia stato quell’antisemitismo che perseguitava gli ebrei, sia che questi vivessero appartati e lontani dalle luci della vita pubblica, sia che tentassero di condurre la vita che conducevano gli altri, quest’ultimi privati della possibilità di vivere al fianco degli amici di una vita o dei compagni di scuola. In sostanza, non esisteva una norma comportamentale, per quanto malata, che stabiliva chi fosse più o meno soggetto agli effetti delle leggi razziali: non si trattava, infatti, di una questione quantitativa, di quanto cioè un ebreo partecipasse alla vita di tutti i giorni, ma di una questione qualitativa, che puniva un essere umano sulla base di un modo di essere indipendente dalla propria volontà. Questo antisemitismo indifferenziato, in definitiva, puniva gli ebrei per il semplice piacere di farlo, senza concedere alcuna attenuante di sorta, nemmeno quella, ricordata dal protagonista stesso, di essere cresciuti in seno e in ossequio a quello stesso regime che aveva finito per distruggerli.
INTERPRETAZIONE COMPLESSIVA E APPROFONDIMENTI
Il brano tratto dall’opera di Bassani, che si colloca in quel filone letterario di denuncia della follia nazi-fascista nei confronti degli ebrei e di altre minoranze etniche capeggiato, senza dubbio, da Se questo è un uomo di Primo Levi, ha il merito di entrare nell’ambito specifico di una città e di mostrare come, durante le atrocità della seconda guerra mondiale e del periodo immediatamente antecedente, i luoghi simbolo di un centro abitato possano assumere connotati bivalenti: per qualcuno, come il milanese Malnate, che vede Ferrara quasi come una sede di villeggiatura, rappresentano il fascino architettonico e la spensieratezza di una vacanza; per altri, colpevoli di nulla se non di avere radici ebraiche, celano immotivata malvagità, umiliazione, senso di disprezzo e di esclusione. Ed è piuttosto significativo che il culmine degli atti discriminatori avvenga in una biblioteca, un luogo che, di norma, dovrebbe essere deputato a coltivare la cultura in tutti i suoi aspetti, ad insegnare il rispetto e la democrazia delle opinioni altrui. Nel brano di Bassani, invece, la cultura viene calpestata e il misfatto viene compiuto davanti a dei ragazzini ancora alle scuole medie, come se l’autore avesse voluto sottolineare anche la tragedia per quelle giovanissime generazioni che porteranno nella memoria tali atti di violenza e, nei casi peggiori, credendo che quella cacciata rappresenti l’applicazione di una legge equa, li riprodurranno su altri malcapitati.
Apparentabile alla vicenda del romanzo breve di Fred Uhlman L’amico ritrovato, poi, piuttosto interessante e sentito si rivela il tema della separazione dagli affetti, non solo quelli familiari, ma anche quelli che si dipanano nel mondo di tutti i giorni, in particolare a scuola. Perché, quando si parla di Shoah e persecuzione razziale, non va considerato solo il dolore delle vittime, ma anche quello del microcosmo circostante ad ognuna di loro, dei cari che furono separati per sempre, di persone che videro svanire nel nulla amici di vecchia data, dei non ebrei che, pur volendo denunciare gli orrori, furono vinti dalla paura delle ripercussioni. Bassani riesce bene a ricostruire quest’orizzonte di legami spezzati, di vite frantumate fisicamente e moralmente, di una società imbarbarita senza motivi se non quelli di un sistema dispotico che, sull’onda della falsa promessa di una rinascita, seppelliva ogni rapporto civile e ogni desiderio di uguaglianza. E guai a credere che queste vicende siano solo dei reperti archeologici su cui i letterati ricamarono tragiche storie: opere come quella di Bassani risultano ancora vivissimi moniti contro chi prova a riaccendere la miccia dell’odio immotivato o chi crede che la non integrazione sia la risposta o ancora contro chi, come i tanti, troppi bulli di cui si apprende quotidianamente dai notiziari, crede di sopperire alla propria debolezza riversando le sue frustrazioni su chi è ancora più debole. Se ignorassimo l’attualità del messaggio di Bassani, non saremmo poi tanto migliori dell’ottimo Poledrelli.
(Joshua Nicolosi, primo anno del corso di laurea magistrale in filologia moderna)