Vendere se stessi: un’espressione che, da ormai qualche decennio, è diventata di uso comune. A partire dagli anni 60, la nascita della PNL e la riscoperta dell’arte della persuasione hanno condotto a una nuova forma di antropocentrismo. L’attenzione si è, quindi, spostata dalla qualità effettiva del prodotto alla capacità dell’imprenditore di lanciare e proporre tale prodotto sul mercato. Il dubbio amletico, calato nella società liquida teorizzata da Bauman, non è più “essere o non essere”, bensì “essere o apparire”: e questo è un problema!



Perché investire sulla qualità quando puntare su un’efficiente azione di marketing consente di ridurre i costi di produzione e al contempo aumentare le vendite? La domanda non vuole essere retorica: una società in continua evoluzione come la nostra presto si adatta al cambiamento. Impiegare energie e denaro per realizzare un piano marketing poteva essere una soluzione vincente quando poche erano le imprese ad aver realizzato l’influenza dei media sulle masse. Tuttavia, al giorno d’oggi, tutte le aziende fanno marketing!



Chi vuole fare impresa è quindi chiamato a creare un connubio tra essere e apparire e non a operare una scelta. Già a partire dalla metà dello scorso secolo poteva sembrare obsoleto un Karl Marx che ne “Il Capitale” indicava come valore aggiunto all’economia di un Paese il solo capitale fisico – con cui si intende l’insieme di macchinari e infrastrutture che, secondo il filosofo ed economista tedesco, determinano la produttività di una qualsiasi realtà economica. Ad oggi, tale concetto non è stato superato, come vorrebbe sostenere il giornalista Enrico Moretti nell’inserto del Corriere della Sera “La Lettura” del 21 febbraio 2016, bensì affiancato a quello di “capitale umano”.



Con il termine “capitale umano” intendiamo l’insieme di conoscenze e competenze che permettono di conseguire obiettivi sociali ed economici che creino valore economico attraverso l’innovazione. L’innovazione dipende, quindi, dal talento dei singoli come individui o come parte di un gruppo. Non a caso, se con l’avvento della cultura di massa – parliamo quindi di fine 800-inizio 900 – la scuola mirava a uniformare il più possibile gli studenti, oggi si cerca di dare agli stessi la possibilità di esprimersi e di coltivare i propri talenti. Vengono offerti corsi extra-curriculari, vi sono agevolazioni per quanti praticano sport e viene premiata la capacità di produrre contenuti. Non dissimilmente avviene nel mondo del lavoro: chi si limita a svolgere il proprio compito è difficile che arrivi al successo; anzi, restando sempre nella propria “comfort zone”, rischia che altri più competenti o, magari, soltanto più ambiziosi gli rubino il lavoro.

Il processo creativo è quindi, ora più che mai, qualcosa di cui non possiamo fare a meno. Ma come nasce un’idea? Come riusciamo a essere originali? Carlo Bordoni, in “La noia creatrice”, sempre sul Corriere della Sera, “La Lettura” dell’1 ottobre 2017, sostiene che occorre recuperare “una certa dose di noia creatrice”. La noia è figlia del tempo libero: in una realtà in cui siamo oppressi dalla dittatura del lavoro, di rado abbiamo qualche momento da dedicare a noi stessi. Eppure, è proprio in quei momenti che potremmo scoprire nuovi interessi o coltivare le nostre passioni, dalle quali – chissà – potrebbe nascere qualche idea nuova e brillante. Raramente abbiamo qualche momento in cui riflettere: la nostra quotidianità è così frenetica che la noia, il “tedium vitae”, che in Seneca diventava la possibilità di incontrare se stessi, ci è totalmente precluso. Noi siamo i primi a non conoscere noi stessi: non sappiamo chi siamo, cosa desideriamo dalle nostre vite e, rispetto alle generazioni precedenti, abbiamo qualsiasi tipo di comfort, siamo perennemente insoddisfatti.

Prendiamoci, allora, un po’ di tempo: sperimentiamo la noia. Sono i limiti che ci spingono a superarci e a creare qualcosa di nuovo e mai pensato prima. Giacomo Leopardi ne “L’infinito” trova nella siepe che gli impedisce di vedere l’orizzonte l’occasione per spingersi, con l’immaginazione, ben oltre quell’orizzonte! Ne “Le ricordanze” è l’assenza di Nerina e non la sua presenza a stimolare memoria e immaginazione. Il tedio della vita si consuma nel silenzio, nella noia. Se, da una parte, è vero che questa diventa per il poeta filosofo di Recanati fonte di sofferenza, è innegabile quanto la medesima solitudine abbia contribuito al suo processo creativo.

La creatività che, sempre citando Bordoni, “può rivelarsi in relazione alle capacità individuali e all’occasionalità”, in un binomio in cui il tutto è più della somma delle parti, si rivela dunque come il carburante da cui far ripartire il motore inceppato dell’economia italiana.

Per capire come funziona il processo creativo è utile riprendere le tesi espresse ne “La conoscenza accidentale”, libro dello storico dell’arte e filosofo Georges Didi-Huberman. Ogni ricerca, tra piaceri ma – direi soprattutto – doveri, si muove su due binari: il primo, vuole un metodo paziente, ostinato sul suo rigore; il secondo, non si scandalizza di fronte all’impertinenza delle cose fortuite, ci chiama a cogliere l’attimo e a prendere gli incidenti di percorso come delle occasioni. La contraddizione è qui soltanto apparente: “ci sono tempi per scrutare la strada maestra ed altri per esplorare le vie laterali” e chissà che non siano proprio queste ultime a rivelarci la sostanza del nostro percorso. Percorso che non è mai – al contrario di quanto sostiene Michel Serres ne “Il mancino zoppo. Dal metodo non nasce niente” – totalmente esodico. Al più famoso aforisma di Così parlò Zarathustra di Friedrich Nietzsche: “bisogna avere ancora del caos dentro di sé per generare una stella che danzi”, rispondo con una frase di Masatoshi Nakayama: “il meraviglioso si trova tra immaginario e realtà”. Occorre sì dare libero sfogo alla propria vena artistica, ma sempre con metodo. Dal caos può nascere una poesia o un’opera d’arte, ma non di certo una start up! Se vogliamo lanciare un prodotto sul mondo del mercato, dobbiamo aver chiaro il nostro target e le credenziali che ci servono per raggiungerlo. Solo in questo modo si realizza il connubio tra essere e apparire, attraverso il quale possiamo sperare di arrivare al successo.

Lo stesso vale per l’economia del nostro Paese: lo Stato deve impegnarsi affinché il cittadino si senta incentivato a mettersi in proprio e a “fare impresa”, affinché il denaro circoli e alimenti il mercato. La creatività necessita di un’occasione: sia questa offerta dal “tedium vitae”, oppure dalla prospettiva di un qualche vantaggio o ricompensa futura. Consci che non sia una sfida facile, siamo sicuri che non sia neppure impossibile. Il futuro bussa alle porte e l’Italia non deve mancare al suo appuntamento.

 

Alberto Zali, studente di Lettere Classiche