La frase che campeggia in ogni tribunale — “La legge è uguale per tutti” — tristemente ai più ricorda l’infelice conclusione di una barzelletta, che ha per protagonisti un politico e un cittadino medio, non di certo uno dei princìpi fondanti della civiltà occidentale. E pensare che già nel 1789 la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” sancì i diritti universali e inalienabili dell’uomo, ponendo la libertà e l’uguaglianza nel primo articolo.
Questa grande conquista di civiltà è alla base anche della Costituzione italiana, la legge fondamentale che regola i rapporti tra lo Stato e i cittadini. Oggi ancor di più, a settant’anni dalla sua entrata in vigore, occorre ricordare che la nostra Costituzione è il frutto della collaborazione tra uomini di forze politiche difficilmente conciliabili, ma accomunati dal perseguimento di un solo bene, quello comune, di fronte a un’Italia a pezzi per la guerra.
È l’articolo 3 a ricordarci che “davanti alla legge” non c’è “distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, eppure è innegabile che tra la tutela formale del diritto d’uguaglianza e il suo godimento sostanziale corra una grande differenza. Basterebbe pensare a tutte le donne che sono costrette a scegliere tra maternità e posto di lavoro perché non è assicurata loro l’assistenza durante la gravidanza oppure a quanti rinunciano all’università perché le borse di studio non sono sufficienti a coprire tutte le spese di uno studente.
Ancor più radicata è la piaga del lavoro nero nell’ambito dell’agricoltura, dove viene fatta strage sia di immigrati che di italiani, nuovi “desaparecidos”. È di alcuni anni fa la notizia della morte di Paola Clemente di San Giorgio Jonico, in provincia di Taranto, che lavorava da mattina a sera nelle campagne di Andria, anche se ufficialmente si occupava di direzione aziendale. Recentemente, in provincia di Reggio Calabria, hanno sparato al sindacalista maliano Soumayla Sacko, scambiato per un ladro mentre cercava di portare via delle lamiere per le baracche dei suoi compagni da una fabbrica abbandonata.
Partendo dai fatti di cronaca, risulta evidente che questi numerosi “ostacoli di ordine economico e sociale” non solo “impediscono […] l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, ma riducono la dignità della persona alla sua prestazione lavorativa o al colore della sua pelle, fomentando l’odio verso l’altro senza alcuna possibilità di dialogo.
Tuttavia non possiamo dimenticare che la Repubblica non è una macchina perfetta: agisce al servizio e in nome del popolo non utopisticamente, ma calandosi nelle numerose problematiche della realtà, a partire da princìpi saldi e imprescindibili, derivanti da secoli di tradizione religiosa, dibattiti filosofici e vita condivisa.
In un momento di così grande rassegnazione e cinismo nei confronti della politica, è l’origine della nostra Costituzione a ricordarci che un’altra prospettiva è possibile: bilanciando l’equilibrio tra i diritti e i doveri di ciascuno, si può riscoprire che la legge nasce come garanzia di civiltà e che, per agire in vista del bene comune, occorre guardare le esigenze e le aspettative non del cittadino comune o del politico, ma della persona.
(Ida Tarantino, studentessa di Lettere Classiche)