Visto che l’ammissione all’esame di Stato si nega solo al 3% della popolazione studentesca, e sicuramente in presenza di quasi tutte le materie insufficienti, o di ritiri di fatto, con assenze non giustificate, c’è da stupirsi se il rito di passaggio sta morendo con la scuola tutta? C’è solo da augurarsi che muoia il rito, ma la scuola sopravviva.
Per ammazzarlo tutti ce la stanno mettendo tutta: c’è la percentuale degli ammessi e poi dei promossi elevatissima, la norma non scritta di dare a tutti il voto di maturità corrispondente alla media di ingresso, anche questa miracolosamente alta per effetti degli inevitabili innalzamenti, una ultima terza prova che non interessa più a nessuno, la voglia di molti docenti di fare presto, sbrigando la tanta burocrazia il prima possibile, contratto di lavoro alla mano, compattando i tempi di correzione e colloqui; mettiamoci delle tesine che di personale non hanno neanche la scelta del titolo, la caccia frenetica alla domande che fanno gli esterni nella loro classe, l’utilitarismo di mille schemi e nessuno studio personale, un’alternanza scuola-lavoro fatta e che non verrà chiesta, se non distrattamente e di corsa se non si vuole allungare il colloquio all’infinito, la batteria delle domande sulle discipline solo nozionistiche nella morente terza prova, lo stesso nozionismo al colloquio, la lontananza della prima e seconda prova, anche quest’anno, da quello che si fa in classe, bene o male che lo si faccia; studenti che fino alla vigilia della prima prova sono descritti come immaturi, fragili, lasciamo perdere se preparati, e a cui si chiede improvvisamente di diventare forti e baldanzosi, di prendersi sulle spalle il vecchio Anchise, di essere anche meglio di Telemaco, perché nessuna dea Atena passa a visitarli la notte prima degli esami.
Cos’è rimasto della maturità che il manipolo dei forti, non 300, ma 20mila, affrontò nel 1925? Che l’orda dei 500mila l’ha travolta: tutti promossi, alle elementari e alle medie per legge, alle superiori per prassi. L’università, che gestì la maturità nel 1925, ha mollato il quasi cadavere e si prende gli studenti direttamente in quarta, il mondo del lavoro guarda — della scuola superiore — solo alle certificazioni ottenute esternamente, e anche qui con circospezione, perché non devono essere troppo vecchie, o troppo lontane dalla realtà del lavoro.
Perché chiedere ai giovani la serietà che gli adulti non vivono? Aggiustare il tiro l’anno prossimo (niente terza prova, Asl ad inizio colloquio e basta tesina, finalmente ammissione con le insufficienze, e quindi campo libero al menefreghismo negli studenti che già c’è) non basterà a rianimare il paziente in arresto cardiaco.
Eliminiamo l’esame di Stato; li promuova il consiglio di classe, oppure li bocci, se ne ha ancora il coraggio. E negli anni precedenti, dalla prima alla quarta o alla terza che sia per i nuovi nati del liceo quadriennale, rassegniamoci a scegliere fra due sole alternative possibili. La prima, la rinuncia totale al modello didattico tipico della scuola superiore, che prevede una costruzione graduale della personalità, e passiamo al modello universitario. Esame finale, dove ti giochi tutto, ma non all’ultimo anno, bensì alla fine di ogni periodo valutativo.
Oppure teniamoci questo modello liceale, ma bocciamo, sospendiamo, organizziamo corsi individuali, collettivi, con un unico scopo ed obiettivo in mente: che la conoscenza ha valore perché la persona ha valore, e formarla è un lavoraccio immane, quando la cosa avviene in solitudine. Solitudine del docente, del consiglio di classe, dell’istituto stesso, perché non ci sono le famiglie, non ci sono i circoli ricreativi, le società sportive, gli oratori, i club degli scacchi, neanche il club degli anticonformisti. Perché non c’è la vita e la scuola, la vita, non la crea. La riceve, oggi spesso informe, e la infila in meccanismi oppressivi di cui il rito della maturità è solo e soltanto un rito funebre.
Occasionalmente dignitoso, occasionalmente nobile. Ma funebre. Ministro Bussetti, da uomo di sport e di scuola, elimini questo orpello. Non curerà il malato, ma permetterà di concentrare le energie ora disperse in questo atto su qualsiasi altra cosa. Magari anche una bella bevuta durante il viaggio di istruzione, creatura, questa, a rischio estinzione, oppure un corso di formazione, ma per i genitori maneschi e violenti, difensori di fragilità che loro stessi hanno generato.