La percentuale degli studenti ammessi all’esame di maturità lo scorso anno è stata del 96,2% e tra costoro i promossi erano il 99,5%. I dati degli ultimi anni sono sostanzialmente stabili, per cui nelle scuole superiori italiane vige un adagio secondo il quale “chi arriva all’ultimo anno della superiori, per non riuscire a prendere il diploma, bisogna metterci molto impegno”.
Non è stato così per i ragazzi della 5G del Liceo Classico Beccaria di Milano, che con 3 studenti bocciati e voti finali molto bassi per gli altri, rappresenta un’eccezione. Infatti 3 respinti su 21 fa schizzare verso l’alto la statistica a oltre il 14%, tanto che il caso è stato riportato da molti organi di stampa non solo lombardi. A parte i ricorsi delle famiglie e gli ispettori dell’ufficio scolastico regionale che andranno a verificare la correttezza delle procedure, i problemi di questa vicenda sono almeno due.
Da una parte, in piccolo, un criterio estremamente rigido di valutazione, da parte di un gruppo di docenti e in particolare di un membro interno, secondo il quale, come riporta ieri il Corriere della Sera, “l’esame di Stato è un questione seria, nessuno deve prenderla alla leggera”, mentre dall’altra — in grande — un esame di stato elefantiaco, costoso, iperburocratizzato, autoreferenziale, che non valuta adeguatamente, con grandi dispari2tà nei voti, non solo tra Nord e Sud, il cui punteggio non è tenuto in considerazione da nessuno.
Ogni tanto capita, per il gioco dei grandi numeri, che in una commissione confluiscano docenti estremamente rigorosi, attaccati ai voti, molto propensi a valutare solo il livello delle conoscenze, guidati da un presidente che non si spaventa di fronte a eventuali ricorsi e per nulla impaurito a dover render conto del proprio operato. Un modo di fare scuola che oggi fa notizia, ma che nei licei prima del fatidico ’68 era la regola. I nonni (ma forse anche i genitori) di quel gruppo di studenti del Beccaria testimonieranno agli allibiti nipoti quanta fatica, quanto studio, quanta applicazione e quanta disciplina erano necessari, per arrivare all’agognato diploma. Oggi tutti, non solo i figli della borghesia, arrivano al diploma e in una società ribaltata, con una scuola disorientata, ancora ispirata ai valori progressisti, già démodé, del “successo formativo”, in cui succede spesso che i genitori aggrediscano i docenti per un brutto voto, i ragazzi della 5G come potranno capire tanto rigore?
E quante chances hanno di farsi capire, di farsi seguire, quei docenti così netti da abbassare tutti i voti finali ai maturati della seconda commissione del Beccaria, tanto da confondere i nipoti con i nonni? Ve li potete immaginare, al di là della cattedra, a spaccare il voto in quattro! Insegnanti così ce ne sono ancora tanti, ma dall’altra parte, per giusta misura, ci sono anche quelli che non spiegano mai, che valutano a caso, i cui voti lievitano come il panettone, insomma più adatti a stare da un’altra parte, che in cattedra. Nella scuola italiana purtroppo c’è diritto di cittadinanza per tutti, ogni docente può fare come vuole e nessuno gli chiede di rendere conto.
E gli studenti? Ce ne sono di tutti i tipi, ma è raro che non prendano sul serio l’esame di Stato. Quando la realtà urge, quando i fatti chiamano a una responsabilità, non sono in tanti a girarsi dall’altra parte. E cosi i ragazzi tirano fuori le loro energie migliori. Solo certi adulti, con i loro preconcetti, non se ne accorgono, tanto da accusarli di leggerezza e superficialità.
Solo sul piano formale l’esame di Stato sembra all’altezza compito. Tiene conto del curricolo dello studente nel triennio, lo valuta con tre prove scritte, un colloquio orale multidisciplinare con tesina annessa, valorizza le esperienze esterne e l’alternanza scuola-lavoro. Insomma un giusto mix, che dovrebbe offrire ai giovani italiani una buona patente per continuare la strada.
Ma solo sulla carta. L’università non lo valorizza. Per entrare nella facoltà a numero chiuso, ci sono i test d’ingresso e il voto di maturità offre solo qualche credito. Insomma i cattedrattici non si fidano della scuola e fanno da soli. Il mondo del lavoro conferma la stessa linea. Non sa che farsene del diploma, tanto che le aziende si organizzano per conto proprio con corsi di formazione e comunque moltissimi indicatori, nonostante gli sforzi, mettono agli antipodi scuola e lavoro. Insomma l’attuale esame di maturità rivela solo l’autoreferenzialità del sistema d’istruzione italiano e lo Stato imponendo un modello di esame unitario, con prove uguali per tutti in nome di equità e imparzialità, dimentica il vero obiettivo, quello di una seria e rigorosa valutazione delle abilità, conoscenze e competenze delle nuove generazioni. Ma poi fallisce anche sulla parità di trattamento. Sono i quadri dello stesso liceo Beccaria a dimostrarlo. In 5G tre bocciati e voti con un massimo di 85/100, mentre nella vicina 5E tutti promossi e 4 ragazzi con 100/100. Attenti, non sono studenti a mille chilometri di distanza, ma quelli dell’aula accanto.