Audizione del ministro Bussetti alle camere riunite a poco più di un mese dal suo insediamento a Viale Trastevere. Prima uscita organica di un ministro che tiene subito a precisare: “Non voglio ricorrere a nuove riforme e ulteriori strappi, né è intenzione del governo stravolgere la Buona Scuola ma i nodi emersi vanno affrontati e sciolti in modo condiviso”.



E’ una buona notizia per la la scuola sapere che non si architettano nuovi sconvolgimenti e che ci sarà tempo per sedimentare e consolidare quello che è stato già scritto. Ma la dichiarazione si presta ad essere letta anche come implicito riconoscimento di debolezza politica e prospettica. E’ difficile immaginare un robusto entrare sul tema scuola da parte della coalizione giallo-verde che tutto ha fuorché un proprio pensiero condiviso sulla scuola. Non è un caso che il contratto di governo abbia proprio nella scuola il punto più scarno e deludente.



Allora al ministro, che in questa difficile contesto è costretto a navigare, può essere opportuno ricordare alcune questioni operative che possono accompagnare i prossimi mesi di governo della scuola.

In primo luogo, il fatto che a lui non è chiesto di fare riforme, ma è suo preciso dovere portare a compimento una riforma avviata che richiede ancora molti provvedimenti urgenti per non impantanarsi in mezzo al guado. Accenno solo alla urgentissima questione del nuovo esame di maturità che rischia, visti le tempistiche di certi uffici, di chiarire importanti passaggi operativi ai maturandi poche settimane prima delle prove. O penso alla riforma dei professionali che, senza immediate misure di accompagnamento, può avviarsi ad essere l’ennesima rivisitazione del Gattopardo. O ancora penso alla nona delega al Governo prevista dalla legge 107/2015 (Buona Scuola), quella sulla riscrittura del testo unico, che prometteva chiarezza e semplificazione nell’arruffato disegno normativo della scuola italiana e che è rimasta appesa.



La seconda questione concreta riguarda il complessivo sistema di governance che appare sempre più ansimante per un progressivo impoverimento di risorse umane sul piano quantitativo e qualitativo. Non è un caso che il concorso dirigenti abbia impiegato quattro anni per vedere la luce (e non si sa ancora quanti per arrivare a compimento!). Creare le condizioni perché domani qualcun altro possa sciogliere anche i grandi nodi che impastoiano la scuola italiana, significa oggi mettere a posto il motore di una macchina che, al centro come in periferia, appare sempre più ingolfato.

La terza annotazione riguarda la sburocratizzazione delle incombenze da cui le scuole, come tutta la Pubblica amministrazione, sono sempre più vessate. Cito fra tutte il sistema di gestione dei fondi Pon, un interessante sistema con cui le scuole possono intercettare finanziamenti europei, ma che viene guardato con crescente diffidenza dalle stesse scuole per il livello di cervellotica gestione a cui costringe. Segnalo solo, per i non addetti ai lavori, l’obbligo di stampare, far compilare e poi scannerizzare un modulo di otto pagine (otto!) per ognuno dei genitori che vogliono far partecipare il proprio figlio al corso pomeridiano di calcetto o di robotica.

Il tempo dirà se il cosiddetto “Governo del cambiamento”, dopo aver onorato le cambiali meno costose firmate con il proprio elettorato (migranti e vitalizi), ci rimanderà alle urne o proseguirà per la legislatura. Sicuramente prima o poi qualcuno dovrà mettere mano alle questioni di fondo che urgono: scelta definitiva per il sistema di autonomie o definitivo ripristino di un severo centralismo, messa in pratica reale del principio di parità scolastica o insistenza novecentesca sulla “centralità della scuola di Stato”, avanzamento verso un sistema di crediti formativi flessibile o permanenza in un sistema di valore legale del titolo di studio, eccetera.

Non sembra essere oggi la stagione in cui orientare la bussola ministeriale verso qualche scelta innovativa o di respiro. Ma forse questa è la stagione in cui con più forza il mondo della scuola e la società civile sono chiamate a non chiudersi in questioni di dettaglio, quanto piuttosto a gestire il dettaglio in vista di un più ampio pensiero sulla scuola, su ciò che la scuola non potrà continuare ad essere ancora nei decenni a venire e su cosa quindi la caratterizzerà in un non lontano futuro.