All’inizio c’era il libro di storia. Il libro generò il manuale scolastico di storia. Il manuale fu soppiantato ad un certo punto dallo strumento audiovisivo. L’audiovisivo è stato soppiantato dalla rete. Il passato oggi si raggiunge attraverso gli archivi digitali forniti dal world wide web. La storiografia basata sui testi scritti e sui documenti sembrerebbe finita. Finita sembrerebbe anche la didattica tradizionale. Ma lo storico-orco (nel senso suggerito da Marc Bloch, per cui lo storico somiglia all’orco della fiaba: dove fiuta carne umana, là sa che è la sua preda) non si fa irretire dalla rete e trasforma un problema in una occasione culturale e didattica. 



Si potrebbe sintetizzare in questo modo il contenuto di una ricca e interessante ricerca dal titolo I linguaggi della contemporaneità, promossa nel 2012 dalla Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo e ora raccolta nel volumetto edito dal Mulino con lo stesso titolo (introduzione di Giovanni De Luna). Il lungo percorso è descritto analiticamente non tanto in sequenza cronologica bensì tramite tematizzazione e approfondimento di tutte le principali questioni che sono sul tappeto. E sono tante. Basti considerare che è sufficiente lo smartphone che l’alunno porta in tasca per essere connessi in modo permanente alla rete. L’accesso indiscriminato al web oscura altri tipi di informazioni, anzitutto quelle trasmessa nella scuola “face to face” dall’insegnante che fa lezione frontale. Quella lezione, si dice nelle pagine del volume, è bypassata dalla fruizione delle piattaforme digitali da parte di alunni che ricavano dati andando direttamente alla fonte. Quale fonte o quali fonti? 



Su questo tasto la ricerca si allarga ad avvincenti considerazioni, tanto più preziose quanto più riconnettono il lavoro dello storico al suo campo, che è appunto il lavoro sulle fonti. I linguaggi visivi che si sono affermati lungo il Novecento hanno modificato la percezione della storia, rendendocela sempre più vicina, sempre più prossima. Siamo martellati dalle rievocazioni storiche quando sfogliamo il giornale, ascoltiamo la radio o andiamo al cinema. In televisione, poi, i programmi a sfondo storico si moltiplicano, si affollano, si sovrappongono tra reti nazionali e straniere, specie anglofone. E a quanto pare hanno anche un certo successo (si cita l’esempio dei documentari di History Channel). La storia è mediatica, anzi mediatizzata, nel senso che l’emozione trasmessa allo spettatore prevale sulla riflessione. Da quando i media (fotografia, radio, cinema, televisione) dominano il sistema della comunicazione avendo inghiottito anche il nostro passato, ricordiamo un certo personaggio o un certo evento perché l’abbiamo visto ricostruito al cinema o in televisione. E come se non bastassero i media (peraltro molto conosciuti e ben “digeriti” dalla storiografia e dalla didattica, basti pensare all’uso che in classe si fa dei cinegiornali d’epoca o delle immagini o foto, per esempio delle guerre), si presenta oggi una nuova sfida rappresentata appunto dalla rete. 



Si può trasferire la rete nel laboratorio dello storico? Questa è la domanda principale attorno alla quale ruotano i vari contributi. La risposta dei ricercatori è affermativa ad alcune condizioni. Anzitutto è necessaria la trasformazione della nozione di “fonte storica” classica, cioè statica, in “fonte dinamica”. Vediamo di che si tratta. La fonte parla in relazione alle domande che il ricercatore le pone e non può essere tale al di fuori del rapporto che lo studioso instaura con essa. L’idea qui suggerita non è nuova (risale al Bloch, appunto), ma fatta interagire con la rivoluzione di internet dà risultati produttivi. Insegnanti e alunni da semplici fruitori possono diventare soggetti protagonisti di percorsi didattici storici nella misura in cui pongono domande ai materiali che attingono dal mare magnum del web. La rete, si suggerisce in uno dei contributi, ha modificato il rapporto con gli archivi non solo per gli storici di professione, ma anche per l'”uomo della strada”, che può entrare in contatto con i documenti del passato. Pertanto è possibile lavorare con gli studenti sui materiali d’archivio senza uscire dalle aule. 

Ma la rete non è “solo” un archivio, bensì un “iperarchivio” destinato a contenere tutta la memoria di tutte le azioni di chi ha avuto un qualche contatto con il sistema di digitalizzazione delle informazioni pubbliche (e talvolta anche private, ahi noi!). Ecco riemergere qui potentemente il tema dell’educazione della domanda: cosa chiedere a internet quando si fa ricerca? A questo primo punto (nozione di fonte dinamica) si connette un’altra coordinata proposta dal titolo della ricerca: di quale linguaggio si serve la rete per elaborare materiali storici? 

Si tratta per lo più di un linguaggio frammentario, privo di nessi causali e contrassegnato dall’azzeramento dello spazio. L’epoca digitale, si dice in un altro contributo, ci consente di raggiungere il cuore degli avvenimenti e di diventarne compartecipi restando alla scrivania. È questa quasi una negazione della storia, quasi una negazione della profondità del tempo. In questo senso, la rete non è solo un contenitore, ma con il suo linguaggio si pone come un potentissimo agente di storia. A maggior ragione è necessaria l’attivazione delle domande delle persone che ne usano. La rete in questo caso può diventare oggetto di giudizio e di ricerca non solamente perché se ne ricavano notizie storiche di un certo tipo, ma anche (e soprattutto) perché se ne carpiscono i meccanismi di costruzione di verità e falsità storiche. 

Insomma, davanti ai materiali di internet, vale molto bene il “nessun dorma” di Puccini. Ma proprio sul punto della domanda la ricerca un poco si arena. Far nascere domande negli alunni, infatti, non è frutto di una semplice operazione didattica o della trasformazione della lezione da frontale in dialogata, come sembra indicare in sintesi il saggio. È qualcosa di ben più “grave”. Attiene al rapporto vitale che l’insegnante è capace di instaurare con la classe. La domanda è tutto, ma non sgorga per il solo fatto di cambiare la struttura dell’insegnamento/apprendimento. È un interesse per il senso della propria esistenza che permette di modificare una raccolta di informazioni in un paragone con visioni diverse della vita. Solo così sarà possibile non affogare in internet. Anche quando ci somministra le sue migliori storie.