Dal caos vaccini alla sicurezza degli edifici, dalle immissioni in ruolo all’abolizione della chiamata diretta, il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, che oggi parlerà al Meeting di Rimini, interviene su tutti i principali temi dell’agenda scolastica. 

Ministro Bussetti, libertà vaccinale o sicurezza? Se lei sta con la seconda, dà ragione ai presidi ma scontenta i suoi alleati di governo. Come evitare il caos in questo anno scolastico, visto che i presidi non possono o non intendono sobbarcarsi l’onere di valutare la veridicità delle autocertificazioni e si appellano alla legge Lorenzin?



Il diritto alla salute e quello all’istruzione sono difesi dalla nostra Costituzione e vanno contemperati. Non si tratta, dunque, di accontentare alcuni e scontentare altri perché lavoriamo tutti per gli stessi obiettivi. Per questo al Miur andiamo avanti in un’ottica di collaborazione e confronto. Ai dirigenti scolastici ho voluto dare un segnale di ascolto a fronte di una richiesta di attenzione. L’obiettivo è proprio di evitare problemi nell’avvio dell’anno scolastico. Nei prossimi giorni (giovedì, ndr) incontrerò dirigenti e sindacati su questo.



La tragedia di Genova ha riproposto l’emergenza sicurezza anche degli edifici scolastici. Il governo ha detto di mettere a disposizione 7 miliardi. Il problema sta nella farraginosità delle procedure. Cosa può dirci in proposito?

Entrando al ministero, abbiamo trovato un sistema di autorizzazioni molto complicato, con tante sovrapposizioni e lungaggini burocratiche a causa delle quali ci volevano fino a due anni per chiudere il processo di stanziamento delle risorse. Vogliamo semplificare le norme e le procedure per consentire a tutti i soggetti interessati (ministeri, Regioni, enti locali) di spendere velocemente e senza intoppi le risorse a disposizione. Abbiamo già introdotto alcune novità con il cosiddetto decreto ministeri. Nelle prossime settimane vedremo le Regioni per proseguire su questa strada.



Che cosa le piace della Buona Scuola e che cosa no?

In alcuni settori la legge 107 ha creato danni irreparabili. L’immissione in ruolo di decine di migliaia di docenti, infatti, è stata concepita e gestita male, provocando l’allontanamento di molte persone a centinaia di chilometri da casa. La chiamata diretta, così come era regolamentata, risultava inutile e poco incisiva, per questo l’abbiamo abolita. La legge 107 ha dato spazio all’alternanza scuola-lavoro, un fatto di per sé positivo, ma questa modalità non è stata regolamentata a dovere e per questo interverremo per modificarla.

La sua amministrazione di fatto ha ceduto ai sindacati sulla chiamata diretta. Poco dopo un parere del Cspi ha cassato l’alternanza. Anche lei intende delegare ai sindacati il governo effettivo della scuola?

Abbiamo scelto di abolire la chiamata diretta per le ragioni che ho appena esposto, perché, sebbene alla base ci fosse un principio giusto, nell’attuazione è risultata inefficace e connotata da eccessiva discrezionalità. In attesa dell’abolizione definitiva di questo strumento, abbiamo introdotto per il prossimo anno scolastico, in accordo con quanto previsto dal contratto di Governo, criteri trasparenti e obiettivi di mobilità e assegnazione dei docenti agli istituti scolastici. Quanto all’alternanza scuola-lavoro, il Cspi ha espresso un parere autonomo scaturito da un’indagine approfondita degli esiti dei primi tre anni di applicazione di questo strumento. Un’indagine avviata molto prima del mio insediamento al Miur. Le obiezioni sollevate dal Cspi sono risultate in linea con quelle sollevate dall’attuale Governo. È un dato oggettivo e condiviso anche dal mondo della scuola che l’alternanza debba essere solo una modalità formativa, uno strumento didattico che arricchisce il percorso degli studenti, senza alcuno scivolamento in forme di attività lavorativa.

Assunzioni e immissioni in ruolo ci sono, ma tra concorsi, richieste sindacali, sentenze dei tribunali pare non esistere un criterio nella politica del personale scolastico. Lei come intende comportarsi? Quali saranno le sue scelte?

È necessario rivedere le modalità di reclutamento degli insegnanti e mettere ordine in un sistema fatto di complicate stratificazioni. Bisogna costruire nuovi strumenti che tengano conto del legame dei docenti con il loro territorio, affrontando all’origine il problema dei trasferimenti, la cui dimensione non è più accettabile, che oltre ad arrecare un danno ai docenti, non consentono un’adeguata continuità didattica agli studenti.    

A proposito di assunzioni. L’ennesima infornata in ruolo di docenti, stavolta maestre diplomate, confezionata con il Decreto Dignità prolunga una prassi tenuta a battesimo per la prima volta nel 1966: reclutare docenti senza vigilare sulla loro preparazione. Cosa risponde?

È un sistema che va rivisto nell’ottica di una corretta e approfondita valutazione delle competenze, per superare una volta per tutte le storture che hanno provocato i ricorsi di massa e le penalizzazioni di ampi gruppi di docenti. Contemporaneamente, la formazione dei docenti va pensata come un percorso che non deve interrompersi mai e deve essere permanente e strutturata. Come gli studenti, gli insegnanti sono inseriti in una realtà che vive mutamenti profondi e continui e devono essere in grado di interpretarli e comprenderli per adattare l’attività didattica a obiettivi sempre nuovi. L’aggiornamento continuo e la valorizzazione professionale del corpo docente devono essere due dei pilastri sui quali costruire un sistema educativo moderno, al passo con i tempi e aperto alle sfide globali.

Le classi italiane stanno diventando sempre più multietniche, e si allarga la necessità di insegnare agli alunni stranieri l’italiano di prima alfabetizzazione e come lingua di studio. Le singole scuole si organizzano come possono e al meglio, ma come per il sostegno ci sono poche risorse e quelle disponibili spesso non sono formate. Come affrontare questa emergenza della scuola italiana?

La scuola è un luogo di inclusione. Sulla formazione linguistica sono stati fatti molti passi in avanti in questi anni con progetti e iniziative, compresa la costituzione di una classe di concorso specifica: la L2, Lingua italiana per discenti di lingua straniera. Indubbiamente, bisogna fare di più, magari utilizzando meglio anche le risorse europee.

Se le scuole non hanno la possibilità di scegliere gli insegnanti rispetto alle esigenze che hanno, come è possibile formulare una proposta didattica ed educativa unitaria e che porti avanti delle linee comuni?

Nell’ambito dell’autonomia ci sono già molti strumenti per raggiungere questo obiettivo, ad esempio quelli che consentono di adeguare l’offerta formativa anche alle specifiche esigenze del territorio, penso agli istituti professionali. Quello su cui dobbiamo lavorare, per migliorarla e potenziarla, è l’autonomia scolastica.

Il governo toglierà i 500 euro di Renzi? Torneranno a gravare sugli stipendi degli insegnanti i loro bisogni di formazione?

Ciò che faremo è sicuramente potenziare e rendere ancora più efficace la formazione in itinere degli insegnanti, i cui costi non possono certo pesare sulle tasche dei docenti.

Che cosa deve incontrare, per lei, un giovane che entra nella scuola italiana e compie il suo cammino di formazione?

Deve incontrare docenti animati da amore e passione per il loro lavoro. Lavoro che è una vera e propria missione educativa che dal singolo studente finisce per estendersi all’intera società. Deve trovare edifici sicuri, confortevoli, dotati di attrezzature tecnologiche all’avanguardia. Programmi moderni, al passo con i tempi ma che, al contempo, forniscano solide basi di conoscenza e capacità critica per comprendere, interpretare e affrontare il mondo del lavoro e, in generale, la propria vita da cittadini attivi e consapevoli. Più in generale, deve poter studiare in un ambiente fondato sull’inclusione, sul meriti e non ultimo sul rispetto dei ruoli.

(Federico Ferraù)