Molte delle difficoltà che si vivono a scuola celano problemi di rapporti affettivi. Così, di fronte ai ragazzi, cercando di accompagnarli, mi chiedo spesso: “Qual è la questione umana che c’è dietro?”. Le questioni didattiche non possono essere separate dai rapporti personali. I temi affettivi sono spesso tra gli educatori un tabù per paura, perché uno non saprebbe cosa dire.
La questione affettiva è molto importante in ognuno di noi. Chi sono io ha a che fare con i rapporti che ho. Anzi, l’essere umano nasce da un rapporto. Alla nostra origine stessa e in ogni giorno della nostra esistenza noi ci concepiamo all’interno e come parte di rapporti. Lo è così tanto che impariamo a guardarci da come ci guardano altri. E addirittura mettiamo in dubbio il senso della nostra esistenza quando mettiamo in dubbio tutti i nostri rapporti. La questione affettiva ci interessa molto e proprio per questa ragione siamo tutti feriti. Tutti sentiamo un grande desiderio di voler bene e di essere voluti bene. Ma tutti ne sentiamo un’incapacità a saperci voluti bene e dunque ad avere un’autostima sana, e fatichiamo anche a voler bene agli altri, ad avere a cuore la loro strada, senza strumentalizzarli.
Oggi c’è una grande libertà nel cercare e gestire tutte le sensazioni e i sentimenti che si vogliono, ma stranamente si soffre di una grande provvisorietà, un’instabilità che ci tormenta. Perché? Perché ci troviamo spesso in un vicolo cieco nei rapporti e non sappiamo come gestire i nostri sentimenti, rischiando così di perderli? Rilke (Elegie Duinesi, I) ci parla di questo smarrimento:
Certo è strano non abitar più la terra,
non usar più di costumi appena imparati,
a rose e a cose diverse che sono chiara promessa
non dare più il senso di umano futuro;
ciò che si era in tanto trepide mani
non esserlo più e abbandonare anche
il nome come un giocattolo rotto.
Strano non avere più desiderio dei desideri
Strano vedere sventolare tanto sciolto nel vuoto.
Come si cresce in un rapporto? Come si esce da un rapporto chiuso? Perché ci si tratta male? Perché uno viene usato come una cosa? Perché ci si stringe sempre di più anche se così l’altro sembra sfuggire sempre di più tra le dita? Cosa significa conoscere l’altro dentro un rapporto affettivo? Cosa rende possibile una vera conoscenza di sé e dell’altro?
Quand’ero venticinquenne, mi ricordo di uno dei miei fratelli che faceva una vita, diciamo, più di notte che di giorno. Un giorno, svegliandosi in tarda mattinata, uscì a prendersi il suo solito caffè con la brioche e a comprare il giornale. A un certo punto, vide una coppia novantenne. Lui faceva fatica a camminare e lei lo incoraggiava ad andare avanti facendogli presente le cose delicate che aveva cucinato per pranzo. Mio fratello tornò a casa folgorato e mi disse: “Io voglio finire così, io non sono fatto per rapporti usa e getta”.
È sano chiedersi spesso: “Cosa cerco in un rapporto?”, “Cosa mi aspetto?”, “L’altro è soltanto qualcosa che mi può soddisfare e basta?”, “Che mistero c’è qui da scoprire e servire?”.
Si impara a vivere dei rapporti avendo della gente più matura con cui entrare in rapporto. Occorre cercare delle persone che sanno volere bene più di noi. E seguirli.