Al Meeting si insegna anche la Costituzione. C’è una mostra, ci sono incontri e dibattiti. Come tutta questa mole di suggestioni ricadrà sulla didattica?
L’ambito costituzionale è diventato, da qualche tempo, un terreno estremamente scivoloso nella misura in cui si è aperto al dibattito culturale e politico, sottraendosi a quello puramente giuridico. Sappiamo che per una parte politica la Costituzione “non si tocca”, mentre per altri non solo è riformabile, come è implicito nelle sue stesse corde, ma addirittura rischia di essere una sorta di canovaccio sullo sfondo del quale si recita a soggetto.
Come è emerso fin qui potentemente dalla dialettica tra esponenti di diverse culture politiche, per alcuni l’articolo 1 dice che “la sovranità appartiene al popolo”. Punto. Per chi difende la tradizione costituzionale, l’articolo 1 va letto fino in fondo: “la sovranità si esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
L’argomento sarebbe noioso a trattarsi se non toccasse nel profondo il tema del popolo a cui apparteniamo. Infatti, com’è stato detto in vari dialoghi al Meeting, non è la Costituzione a fondare un popolo, ma se c’è un popolo esso si rispecchia in una Costituzione. Un popolo senza Costituzione sarebbe preda della dittatura o dell’autoritarismo.
La ragione specifica per cui nella scuola si insegna (o si dovrebbe insegnare) la Costituzione del 1948 risiede nel fatto che il documento delinea sul versante dei diritti e dei doveri la coscienza del popolo ri-costituitosi in Italia dopo il fascismo. In un certo senso, la Costituzione (e la mostra del Meeting bene lo esplicita), incarna un fattore costitutivo del popolo italiano ri-generatosi dopo l’esperienza del fascismo e della guerra. Si tratta di quella sintesi tra culture politiche e visioni del mondo (cattolica, comunista, repubblicana, azionista, liberale) che dopo la Seconda guerra mondiale in Italia hanno forgiato la comunità, delineando spazi e condizioni entro cui si potessero esprimere tutte le potenzialità di cui erano capaci gli individui, i gruppi, le famiglie, le realtà sociali.
La Costituzione italiana detta norme e princìpi che prima non poteva dettare, perché appunto non c’era popolo, ma massa che si radunava sotto le finestre del palazzo fatidico per ricevere ordini dal capo. La distinzione tra popolo e massa è dunque fondamentale. Il popolo italiano per non essere “massa” e per darsi un’identità sua propria si è organizzato, per cui la Costituzione, nel famoso articolo 2, riconosce i diritti dell’uomo come singolo e come appartenente alle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità.
Chi si è occupato fin qui di scuola dal punto di vista di Viale Trastevere ha sempre supposto che fosse sufficiente leggere o richiamare in qualche modo la Costituzione per ottenere dai ragazzi l’adesione alle forme democratiche della convivenza civile. Che significa: facciamo i parlamentini nella scuola, facciamo le elezioni delle rappresentanze, facciamo i regolamenti di istituto. La premessa implicita di chi ancora chiede il ripristino dell’educazione civica nella scuola, come i sindaci italiani riuniti nell’Anci in un recente documento rivolto al nuovo Parlamento, è la medesima: il popolo ri-generatosi dopo il fascismo e la guerra di Resistenza ha bisogno di riaggiornarsi, in un certo senso di rifarsi il look, partendo dalla scuola. Insegnando in un’ora settimanale l’educazione alla cittadinanza, pensano i sindaci, potremmo ridire ai ragazzi le ragioni per cui devono sentirsi cittadini. In tal modo potremmo evitare bullismo, intolleranza, aggressività verso stranieri e diverse soggettività.
Temiamo che queste belle premesse siano destinate a naufragare di fronte alla realtà. Essa suggerisce, e ancora una volta questo aspetto è emerso al Meeting nei momenti di confronto politico e culturale, che una parte della classe politica (e quindi una parte della nazione che l’ha votata) non si riconosce non tanto nella Costituzione, ma nella lettura diciamo “resistenziale” che va per la maggiore. Questa parte politica che sta al governo (e chi l’ha votata) mette in dubbio il sistema istituzionale di rappresentanza nato nel dopoguerra perché degenerato e criticandone la degenerazione finisce per contestarne la stessa legittimità.
È materia di discussione in questi giorni, un po’ su tutti i mezzi di comunicazione, il tessuto portante della nostra democrazia. Sono le istituzioni questo tessuto (Parlamento, partiti, sindacati eccetera) o non piuttosto il popolo in quanto tale? Si torna alla questione iniziale, dunque. Se c’è popolo ci sarà Costituzione. E siccome oggi, in questo frangente di cambio d’epoca, il popolo non c’è più (non c’è più “quel” popolo), il legame con la Costituzione è molto debole.
Naturalmente c’è anche l’altra parte della classe politica e chi l’ha votata (finendo in minoranza) che sostiene che si debba persistere sulle basi costituzionali identitarie. Il cambio d’epoca ci ha però portato la cultura sovranista, che rifiuta la logica della mediazione istituzionale. Il populismo evita il rischio della massificazione degli individui, ma non si sottrae alla tentazione di voler rifondare il popolo su basi di democrazia diretta. Non di popolo si tratta, ma di social-popolo (il popolo dei social). Nella social-democrazia i regolamenti, gli organigrammi e le costituzioni appaiono inutili vincoli.
Una bella sfida per chi si trova a operare nella scuola è quella che deriva dall’appassionare i ragazzi alla storia dei loro padri, di cui avvertono (anche per erronea propaganda) solo gli errori. Ma la sfida deve essere accolta anche perché la domanda di un giovane, che è quella sull’appartenenza (di chi sono e per chi sono) può trovare risposta solo nell’abbraccio di un popolo nuovo. Un popolo nuovo è l’orizzonte che ci si presenta. Né resistenziale, né sovranista. Nuovo non perché coltiva i ricordi o perché si esalta identificandosi nel capopopolo, ma perché vive. Vive perché desidera la felicità e ha incontrato una risposta. Un popolo non solo possibile, ma già reale, capace di interloquire, di educare, di lavorare. Un popolo che usa tutto e tutto valorizza, che ha radici antiche e forme nuovamente abbozzate, un popolo magari silenzioso e paziente, ma non disposto a farsi intruppare da chicchessia.