Sarebbe interessante iniziare il nuovo anno scolastico da queste osservazioni di David Foster Wallace: “Secondo me il motivo per cui la gente si comporta male è che fa veramente paura stare al mondo ed essere umani, e siamo tutti, tanto spaventati (…) la paura è la condizione di base, e ci sono motivi di tutti i tipi per essere spaventati. Ma il punto (…) è che il nostro compito qui è di imparare a vivere in modo tale da non essere costantemente terrorizzati. E non nella posizione di voler usare qualunque strumento, di usare le persone per tenere lontano quel tipo di terrore (…) Per quanto mi riguarda il volto che do a quel terrore è la nascente consapevolezza che nulla è mai abbastanza, mi spiego? Che il piacere non è mai abbastanza, che ogni traguardo raggiunto non è mai abbastanza. Che c’è una sorta di strana insoddisfazione, di vuoto, al cuore del proprio essere, che non si può colmare con qualcosa di esterno (…) e la sfida che ci si prospetta, in particolare, sta nel fatto che non c’è mai stata così tanta roba, e di qualità alta, proveniente dall’esterno, che sembra tappare provvisoriamente quel buco, o nasconderlo”. (David Lipsky, Come diventare se stessi. David Foster Wallace si racconta, 2010)
E’ il “buco” che tutti gli studenti e tutti gli insegnanti sentono quando dopo le vacanze con il ritorno a scuola vi è l’impatto con la realtà del nuovo anno scolastico. Un buco che chiude alla realtà, che aspetta di adattarsi e quindi di scomparire oppure un buco che sfida a guardare a ciò che inizia, che provoca ad un nuovo inizio.
Don Luigi Giussani a Viterbo nel 1977 parlava di una provocazione alla vita che permane; in questo identificava il nuovo inizio, sottolineando la provocazione alla vita e non all’intelligenza o all’esigenza di una nuova morale. Dopo quarant’anni quella provocazione alla vita è ancor più forte, perché deve reggere a quanto è accaduto in tutto questo tempo, al crollo di tutte le certezze e alla sfiducia che ne è conseguita, per cui il vuoto che si sente non è il trampolino di lancio verso un’avventura nuova, ma la caduta libera nello scetticismo che pervade ogni ambito.
Forster Wallace ha bel identificato il punto di rottura della mentalità contemporanea, il diventar evidente che nulla ci basta; neanche le vacanze sono state sufficienti per rispondere al desiderio di essere felici. Neanche l’intelligenza della condizione in cui siamo però ci basta: andare a scuola con quel buco in noi porta a guardare alla realtà con un’attesa nuova. Chissà che Forster Wallace questa volta si sia sbagliato a non aver fiducia in qualcosa di esterno, a non lasciare aperta questa possibilità, che tra i volti noti, tra le procedure conosciute accada qualcosa di non immaginato, ma di così umano da farci prendere sul serio questa mancanza che portiamo in noi, fino a vivere la scuola come provocazione, mossa esistenziale.
Un anno è nuovo perché l’umano viene affrontato di petto, riportando tutti — studenti e professori — alla posizione originaria, quella che la cultura ha stravolto. E la posizione originaria non è la paura, ma la meraviglia.